Avevo incontrato le gemelle una settimana prima, a Dublino, ed ora mi trovavo a casa loro, nel loro giardino, a fissare negli occhi la loro capra. Pioveva piano e mi gustavo soddisfatta il profumo fresco di terra bagnata aspettando che finissero di prepararsi per uscire.
Ero nel Wicklow da soli due giorni eppure gli odori, così intensamente diversi da quelli cui ero abituata, sapevano di casa.
Vidi passare a piedi una coppia che risaliva la collina verso il paese. Probabilmente ci saremmo rivisti alla festa. Mi fecero un cenno di saluto e inaspettatamente l’uomo mi parlò:
– Una casa non è una casa senza una capra in giardino!
Ridemmo tutti e tre e loro proseguirono, ma mi ritrovai a pensare che era vero, che avrei avuto anch’io una capra. Dovevo solo trovarle il nome più adatto.
Stavo ancora cercando di figurarmi se questa futura capra avrebbe preferito chiamarsi Maud o Arleen, quando le due sorelle sbatterono chiassose la porta e mi trascinarono in strada.
Attraversammo spedite il ponte di pietra e mentre quelle stilavano a mio beneficio una lunga lista di ragioni per cui la loro meravigliosa contea poteva dirsi la più pittoresca e accogliente d’Irlanda, scambiai uno sguardo divertito con un cavallo che lasciava pascolare un gregge poco più in là.
Che le gemelle ora vivano l’una nel Kerry e l’altra nel Donegal sono dettagli superflui, ma sono quasi certa che quel cavallo già sapesse come sarebbe andata a finire.
Entrammo nel paese debitamente agghindato e seguendo la folla scivolammo giù per la strada principale. Ad attenderci un vasto prato brulicante di gente e bancarelle.
Mi lanciai nella mischia con grande entusiasmo ed ebbi subito la conferma della mia devastante inettitudine al tiro del ferro di cavallo e al lancio del penny, fino ad allora solo ipotizzata.
Decisi così di accettare una sfida più di concetto che di forza bruta, e cimentarmi nell’indovinare età e peso di un vitello che se ne stava beato in un recinto: mi sembrava decisamente più adatta a me! Dall’alto della mia pluriennale esperienza in fatto di bovini, mi ritrovai a vaticinare cifre tali da causare un moto di riso e singhiozzi nell’allevatore che, appoggiandomi sulla spalla una mano caritatevole, mi porse la ricevuta di partecipazione sicuro che non sarei risultata io la vincitrice.
Vagavo confusa e perplessa. Com’era possibile che una ragazza di campagna come me potesse così facilmente fare incetta di fallimenti? Con un ultimo sorriso di speranza risposi allo strombazzante richiamo della corsa con i sacchi. Una donna mi porse un sacco di iuta e mi spinse sulla linea di partenza. Prima ancora che potessi essere consapevole di quello che stavo facendo, si udì uno sparo e partii all’inseguimento dei miei avversari.
Di quello che successe subito dopo ho solo un ricordo confuso. Mi alzai da terra stordita ed ecco un uomo accanto a me, avvolto da un mistico chiarore che faceva risplendere la sua testa calva. Piuttosto basso e tarchiato, il suo viso mi fece subito credere di essere arrivata alla fine dell’arcobaleno. Mi aspettavo di ricevere la mia pentola d’oro, quando l’uomo mi porse il suo sdentato sorriso.
– Va’, entra in chiesa e prega San Patrizio con tutto il tuo cuore. Hai bisogno di un uomo irlandese e lui, per queste cose, fa miracoli!