Ulysses @ The Project Arts Centre, Dublino, 8 Novembre 2012: la recensione

Ho recentemente riletto L’Ulisse, soprattutto sull’onda del libro di Michael Foley Embracing The Ordinary. Foley nella sua esplorazione dell’ordinarietà della condizione umana ricorre a due eccezionali scrittori: Joyce e Proust. Foley esalta la scrittura di Joyce come l’esempio supremo della capacità di rendere straordinario l’ordinario: nell’Ulisse, in un giorno qualsiasi, vediamo l’antieroe Bloom occuparsi dei suoi affari e vivere la vita di tutti i giorni.

You can read this post in English HERE.

 Non c’è una trama, così come non c’è nella nostra vita (anche se siamo tutti in grado di attribuirgliene una a posteriori). Con ciò Foley ci offre una chiave di lettura con cui leggere, o rileggere, l’Ulisse, senza doversi preoccupare del suo alone di accademica inaccessibilità. Ed è con l’Ulisse ancora fresco di lettura che ho assistito a Ulysses, l’adattamento teatrale di Dermot Bolger.

Secondo Dermot Bolger l’Ulisse è

Uno dei romanzi più grandi e e sinceri di tutti i tempi.

Bolger comprende Joyce e la Dublino di Joyce. Ne comprende la geografia e il linguaggio. Ha l’orecchio e l’apprezzamento giusti per le cadenze e l’arpeggio delle voci dublinesi, ciò che Foley chiama l’opera del parlare quotidiano. Da questo punto di vista non c’è dubbio che l’abilità del Bolger scrittore lo aiuti nell’interpretare Joyce.
Ma secondo me la domanda fondamentale era: Perché?
Perché un adattamento teatrale dell’Ulisse?  l’Ulisse è un romanzo che esplora tutto il territorio del romanzo come medium portandolo a un punto di non ritorno. Quindi: a che scopo trasporlo e ridurlo al mondo del teatro, con le inevitabili costrizioni derivanti dalle limitazioni temporali e fisiche della scena? È come voler adattare una sinfonia a un quartetto d’archi e comprimerne i movimenti in un unico tema, ed è impossibile compattare le 265.000 parole dell’Ulisse in una pièce di due ore.

Non è una critica nei confronti di Bolger: bensì il riconoscimento del fatto che l’adattamento teatrale dell’Ulisse è a sé e deve essere giudicato indipendentemente: non può essere criticato in comparazione al romanzo e deve essere giudicato come un’opera teatrale a sé, indipendente.

Bolger si distacca dal romanzo immediatamente: dalla fine del romanzo. Per così dire, dalla pagina bianca successiva al monologo di Molly. E la sua idea di iniziare con Molly e Bloom addormentati nel loro letto è perfetta: ci ricorda che questo non è il romanzo. Dà a Bloom l’opportunità di rivivere la giornata, come potrebbe fare chiunque di noi, ricostruendola per darle una sorta di struttura narrativa. Dà allo spettacolo il senso di una riflessione, più che una trama.

E, secondo me, è questa l’essenza di ciò che rende l’adattamento di Bolger memorabile. Bolger interviene come un pittore Impressionista, un Monet o un Degas. Non tenta di riprodurre ciecamente Joyce, bensì sceglie di presentarci una pièce che contiene l’impressione, e quindi la vera essenza, dell’Ulisse.

La struttura circolare della scenografia offre possibilità infinite per uno spettacolo che deve portarci in giro per Dublino. Concentra splendidamente l’azione e fornisce un calderone in cui ribolle la giornata di Bloom. Il personaggio di Bloom è una vera rivelazione in questa produzione. Da quando lascia il letto e indossa cappello e scarpe percepiamo l’ordinarietà di questo individuo e nella sua ordinarietà ci identifichiamo.

TT UlyssesIn Mani sbagliate Bloom sarebbe diventato farsesco e privo di credibilità: così invece stabiliamo una connessione con questo personaggio che rivive la sua giornata. Jean-Paul Van Cauwelaert entra nella parte con eccezionale sensibilità. Percepiamo il suo tormento interiore dalla sua postura e dalla mimica facciale. Gran parte del dialogo interno a Bloom rimane non detto, ma non per questo non visto. L’azione procede spedita e non dà tregua agli spettatori. Anche senza una trama c’è grande senso di movimento nell’interazione tra Bloom e Stephen e Dublino con i suoi personaggi che incrociano la strada dei protagonisti, personaggi che sono immediatamente riconoscibili e hanno anche nella Dublino odierna una controparte reale.
Gli attori interpretano i vari personaggi cambiandosi costume, senza soluzione di continuità.
E tra gli attori, in questa specifica rappresentazione, abbiamo apprezzato soprattuto una straordinaria Mary Murray.
Come Bolger, Mary comprende perfettamente Dublino. Per chiunque l’abbia vista in The Pride of Parnell Street di Sebastian Barry l’ottima performance non è certo una sorpresa: senza esitazione passa da personaggi femminili a personaggi maschili, senza indulgere in virtuosismi, bensì concentrandosi sulla vitalità dei personaggi.

E quindi, che cosa hanno ottenuto Bolger e il Tron Theatre? A mio parere hanno fornito appunto una impressione dell’Ulisse, e, così come non guardi più le ninfee nello stesso modo dopo averle viste attraverso Monet, l’Ulisse “di Bolger” potrebbe essere l’occasione per tornare al romanzo con occhi nuovi e, per chi non lo avesse ancora mai letto, un modo per togliere all’Ulisse un po’ del suo alone mitologico, un incoraggiamento a leggerlo e apprezzarlo.

Joyce disse:

se l’Ulisse non merita di essere letto, la vita non merita di essere vissuta.

E quindi, leggetelo! Sì, sì, sì!

Liam O’Broin

About QRob

Massimiliano "Q-ROB" Roveri writes on and about Internet since 1997. A philosopher lent to the IT world blogs, shares (and teaches how to blog and share) between Ireland and Italy.

Check Also

the snapper - gate theatre - roddy doyle - recensione - italishmagazine

The Snapper @ Gate Theatre 2018 (ovvero ‘Bella Famiglia’ di Roddy Doyle a teatro): recensione

The Snapper, il secondo capitolo della Trilogia di Barrytown, è ora anche un’opera teatrale. Ecco …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.