Faceva particolarmente freddo, quella sera. L’inverno aveva deciso di lasciare qualche ricordo di sé, nonostante la primavera l’avesse soppiantato ormai da svariate settimane.
Le sale del Temple Bar erano piene, come al solito. I visi indistinti dei turisti si mescolavano a quelli dei clienti affezionati, per i quali il bancone, i boccali e la musica del pub rappresentavano una garanzia di calore fisico e umano, al riparo dai venti taglienti della terra irlandese.
Una band locale stava iniziando a intonare le prime note di una ballata tradizionale, quando Liam varcò la porta rossa. Gli bastò un’occhiata al di là delle sagome sbraitanti degli altri clienti, per scorgere il suo posticino vacante, in fondo, in disparte. Quando c’era Róisín di turno, si sentiva un personaggio importante: gli bastava digitare frettolosamente un messaggio e lei, che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di assecondarlo, gli riservava il suo tavolo preferito. Liam non faceva niente per meritarsi quell’affetto, eppure si compiaceva del suo status di maschio desiderato e viziato.
Aspettò qualche minuto, prima che lei gli si parasse davanti.
- “È l’ultima volta che lo faccio”.
- “Anche la scorsa volta, era l’ultima”. Le fece l’occhiolino.
Lei ricambiò con un’occhiataccia, il tipico sguardo di chi è irrimediabilmente innamorato di chi non l’ama. Poi prese l’ordinazione e sparì dietro la folla.
Intanto la band continuava a suonare il suo repertorio, incitando gli astanti ad unirsi in coro alla performance. Il pubblico apprezzava con veemenza, levando in alto boccali colmi di birra e battendo i piedi a ritmo di musica.
A Liam piaceva quel frastuono. Erano le urla e le risate di chi, almeno per un po’, aveva deciso di lasciarsi qualcosa alle spalle. Fuori dal Temple Bar il mondo era pieno di storie, guai e tristezza. Dentro, invece, erano tutti fratelli accomunati da una temporanea spensieratezza.
Come sempre, aveva ordinato una bionda media. Gli piaceva berla osservando le persone sedute agli altri tavoli, indagando le loro espressioni, magari provando a carpirne i discorsi. Non era una specie di maniaco, no. Lo incuriosivano i destini degli altri e provava a indovinarli, ben consapevole dell’impossibilità dell’impresa. Le vite altrui sono labirinti imperscrutabili.
Quell’uomo seduto al bancone, per esempio, con la barba e la giacca marrone, intento a sorseggiare il suo bicchiere di whiskey. Quanti ne avrà bevuti? Quanti ne berrà ancora? Avrà una casa, una famiglia da cui tornare? Forse non è di Dublino, forse è lì per lavoro, forse si è trasferito lì da poco. Forse, fuori dal Temple Bar, si sente irrimediabilmente solo.
E quella coppia seduta vicino alla vetrata, invece? Avranno venticinque, al massimo ventisei anni. Si guardano come se non avessero niente di meglio al mondo da guardare. Lui la bacerà di sicuro, stasera, e domani saranno di nuovo lì, allo stesso tavolo, a raccontarsi le loro giornate.
Poi, ancora, quel gruppo di signore. Sono rosse in viso, hanno gli occhi stanchi ma sereni, ridono. Si sono scrollate di dosso le loro vite annoiate e ci bevono su. Ogni tanto qualcuna controlla il cellulare. Chissà se a casa è tutto ok, si staranno chiedendo.
Liam sorrideva.
Spostava lo sguardo da un viso all’altro, ogni tanto dava un sorso al suo bicchiere, ascoltava la band e se una canzone gli piaceva particolarmente smetteva di indovinare i destini altrui, concentrando l‘attenzione sugli strumenti e sulle mani che, con disinvolta maestria, li suonavano.
Ecco un’altra cosa che gli piaceva moltissimo: la musica. Sarebbe rimasto per ore ad osservare un archetto scivolare sulle corde di un violino, un plettro pizzicare quelle di una chitarra o, ancora, le dita di un uomo destreggiarsi fra i tasti di una fisarmonica. Se avesse potuto tornare indietro nel tempo, avrebbe imparato a suonare uno strumento, uno qualsiasi.
Ordinò a Róisín un’altra birra e ricominciò a guardarsi intorno, in cerca di un’altra vita da indagare, di un altro viso da scrutare. Lo trovò.
Era un ragazzo sulla trentina. Indossava un maglione nero e in testa aveva un cappello fuori moda. Liam si chiese perché non se lo fosse tolto, una volta dentro. Forse aveva altro, per la testa. Forse, quando entrava al Temple Bar, qualcun altro gli faceva notare di essersene dimenticato e, sorridendo, glielo toglieva. Adesso, invece, era solo. Nessuno glielo aveva ricordato e nessuno gli aveva rimesso in ordine i capelli perché nessuno gli aveva tolto quel cappello dalla testa. Aveva un bicchiere vuoto di fronte a sé, forse il primo di una lunga serie. Aspettava qualcuno? Forse una ragazza. Chissà se sarebbe mai arrivata e, soprattutto, da quanto tempo lui l’aspettava. Chissà se sarebbe arrivata da sola o tra le braccia di un altro uomo. Forse avrebbe fatto finta di non vederlo, lì, seduto sempre al solito posto, da mesi, o forse l’avrebbe guardato negli occhi e gli avrebbe sorriso, per un attimo si sarebbe dimenticata di tutto e sarebbe corsa da lui.
Liam distolse l’attenzione. Abbassò lo sguardo per pochi istanti, prima di riguardare la sua immagine riflessa nel vetro della finestra. Si tolse il cappello e prese la giacca.
Quando Róisín ritornò con la seconda birra, la sedia era vuota. Sul tavolo, sotto al cappello, trovò i soldi e la mancia.
Nel Temple Bar riecheggiavano le note di Dirty Old Town. Un gruppo di turisti aveva appena fatto il suo ingresso, lasciandosi qualche storia alle spalle, mentre per le strade di Dublino il vento aveva ricominciato a fischiare le sue canzoni.