SPLF Flash Fiction Contest 2019 – Il canto dell’attesa

Conobbi Erin la mia ultima mattina a Stoccolma. Ci ritrovammo a fare colazione insieme nel piccolo caffè ombreggiato da un grande castagno, attorno al quale sembravano gravitare la piazzetta e le botteghe dal sapore antico. Alloggiava nel mio stesso ostello, l’avevo vista arrivare la sera prima e subito aveva riempito la sala comune come un fresco vento ridente e allegro, così ci era sembrato naturale sederci allo stesso tavolo quando ci eravamo quasi scontrate al bancone della caffetteria il giorno dopo. Subito ci eravamo trovate a raccontarci di noi e a scoprire quante cose avevamo in comune, entrambe con una madre amante degli Abba e a Stoccolma per visitare il museo a loro dedicato, entrambe cresciute in una famiglia di sole donne e seconde di quattro sorelle, ci sembrava quasi di essere due versioni della stessa persona cresciute una alle pendici delle Prealpi Vicentine e l’altra sul mare a sud di Dublino, e ci chiedevamo se era più difficile e divertente un’infanzia come la nostra in Italia o in Irlanda. E poi Erin mi raccontò la storia di Maeve.

Era cresciuta nell’Ovest, dove il vento e le onde salmastre scolpivano le nere scogliere e le leggende erano intessute nell’aria. Nelle sue vene scorreva il sangue dei Túatha Dé Danann e ogni giorno al tramonto si recava in riva al mare a scrutare l’orizzonte in attesa del loro ritorno. Sapeva che sarebbero venuti a prenderla per portarla con loro sull’isola oltre l’oceano, dove avevano trovato esilio quando la terra d’Irlanda era stata invasa dai figli di Adamo ed Eva. Camminava sulla sabbia della piccola insenatura protetta dalla scogliera e il vento le portava il profumo di antichi ricordi. Maeve rispondeva alla brezza levando il suo canto nella penombra del crepuscolo, sperando così di poter guidare fino a sé la nave dei Túatha Dé Danann che forse stava già solcando il mare nella sua direzione. Una sera d’autunno il cielo viola era ricoperto di nubi ricamate d’oro e d’argento dai raggi calanti del sole e il vento portava in alto il profumo della torba e dell’erba e della nostalgia di ciò che Maeve non aveva ancora conosciuto. Il mare ribolliva davanti a lei e le onde s’infrangevano con forza sugli scogli. Quando gli ultimi raggi del sole ricoprirono la superficie del mare di una sottile sfoglia d’oro ecco spiccare in lontananza la sagoma di una nera nave che sembrava galleggiare appena sopra il pelo dell’acqua. Puntava veloce verso le alte scogliere con l’urgenza di chi rincorre il tempo. Maeve intonò con forza il suo canto. La limpida voce cercava di fendere il vento e di cavalcare le onde fino al veliero, ormai abbastanza vicino da poterne distinguere lo scuro scafo finemente intagliato, il sartiame, le vele e la prua sottile ed elegante, decorata da una polena scolpita in forma di drago nero. Già sentiva le cristalline voci dell’equipaggio risponderle e chiamarla per nome per rassicurarla che erano finalmente arrivati per lei. Ma quando il sole tramontò nella schiuma del mare e il mondo intorno a lei fu ricoperto da un manto di penombra la nave scomparve, dissolvendosi nell’aria e nell’acqua. Davanti a lei rimanevano solo il mare e il cielo. Maeve continuò a tornare sulla riva del mare anche le sere successive, per giorni, settimane e mesi, ma mai più rivide la nave o sentì la voce dei suoi padri che la chiamavano.

Prima che la malinconia l’uccidesse conobbe un uomo che veniva dal cuore dei Monti Wicklow. Non poteva offrirle molto se non le sue mani aperte e Maeve poteva ricambiare solo con i suoi sogni, tutto ciò che possedeva. Era abbastanza per entrambi e così Maeve lo seguì nella sua casa in riva al lago, circondata da verdi montagne. Vissero a lungo insieme e felici ed ebbero molti figli, fra i quali Brigit, la madre di Erin. La vita di Maeve fu piena di gioie ma qualche volta la sera si fermava in silenzio in riva al lago, ad osservare il cielo tingersi dei colori del tramonto e ad ascoltare le parole che scendevano dalle montagne portate dal vento. A quelle parole rispondeva ancora con il suo dolce canto.

Più tardi in aeroporto, in attesa di imbarcarmi, ripensai ad Erin, alla sua risata fresca, ai suoi occhi allegri e al cuore malinconico. Mentre mi raccontava della nonna il suo volto era luminoso come il cielo pastello sopra di noi. Mi disse che Maeve era morta l’anno precedente, quando però le chiesi cosa le mancasse di più di lei mi guardò in modo strano. Sua nonna non poteva mancarle perché aveva lasciato a sua madre, alle sue sorelle e a lei un’eredità fragile e preziosa, i suoi sogni con i quali continuare a tessere le loro vite. Ci salutammo con un abbraccio e la guardai che si lasciava sollevare dal vento pungente del nord per farsi trasportare nel labirinto degli antichi vicoli della città vecchia.

About QRob

Massimiliano "Q-ROB" Roveri writes on and about Internet since 1997. A philosopher lent to the IT world blogs, shares (and teaches how to blog and share) between Ireland and Italy.

Check Also

San Patrizio Livorno Festival: ringraziamenti e opportunità

Il San Patrizio Livorno Festival torna finalmente in presenza. San Patrizio Livorno Festival 2023 Ci …

4 comments

  1. Trovo che lo stile e la scrittura siano molto curati. La storia è interessante. Complimenti!

  2. Bellissimo racconto, mi ricorda la dolcezza e la malinconia che si respirano nelle giornate di pioggia irlandesi. Mi ha commossa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.