SPLF Flash Fiction Contest 2019 – Ho lasciato un pezzo di me in Irlanda

No, non fu la stanza della bella Amanda P. che visitai di soppiatto quella notte. Eppure i suoi inviti non avrebbero potuto essere più espliciti. Se sapevo cosa vuol dire “Amanda” in latino? Certo che lo sapevo. Probabilmente lo sapevano anche i miei compagni di squadra che, pigiati insieme a noi nella stessa vettura che dal clubhouse ci riconduceva all’albergo, assistevano con un pizzico d’invidia al gioco di occhiate tra me e la focosa rossa che non mi mollava. Ma i loro discorsi erano di altro tipo. Eccitati anch’essi dal clima di quella giornata, e incuranti dei numerosi acciacchi rimediati, si infervoravano all’idea di organizzare una rivincita, non preventivata nel programma, per poter tornare a perdere contro avversari così simpatici, e passare con loro un altro memorabile terzo tempo.
Ma l’esaltazione legata a quel ricordo mi ha fatto andare troppo avanti. Forse è il caso di procedere con ordine, anche se l’alcool ha un po’ annebbiato diversi dettagli.

Ripensandoci, potrei dire che ho lasciato un pezzo di me in Irlanda. Per la precisione, quel pezzo di incisivo che ora mi manca e rende così caratteristico il mio sorriso. A dirla tutta, non era proprio mio, quel pezzo. Era una protesi che mi era stata riattaccata dopo che il pezzo originale era rimasto impiantato nella testa del Postino -pace all’anima sua- nel corso di un innocuo allenamento. Adesso il Postino non c’è più, e il mio pezzo di incisivo giace sottoterra insieme a lui, ma a me piace ricordare che il distacco definitivo ebbe luogo quel pomeriggio, a Palmerston, per un colpo fortuito in una touche.

Non ricordo con quale punteggio perdemmo, quella volta, ma si tratta di un dettaglio. Ricordo che ci battemmo bene, contro avversari che sapevano il fatto loro, ed è questo che conta. Ma quello che rese memorabile la giornata, fu il terzo tempo nella sede del club. Chiunque abbia giocato a rugby sa come una sorta di implicito patto, una religione segreta che ti battezza col fango, unisca tra di loro i suoi adepti, da qualunque parte del globo essi si trovino. Che gioia ritrovarsi tra tanti confratelli, in particolare per noi, abituati in Italia ad essere tra i pochi membri di una piccola chiesuola di iniziati, invisibili al resto del mondo. Queste trasferte nelle isole, che non definirò Britanniche per non offendere chi come Aindrias O’ K. quasi mi toglieva il saluto quando mi lasciai sfuggire questa espressione, sono una boccata d’ossigeno e di entusiasmo.

L’anno prima era toccato all’inghilterra. Io avevo giocato con la seconda squadra perché avevo una tendinite che non si decideva a guarire. Ma proprio la seconda aveva riportato l’unica vittoria della tournée, e questo mi inorgogliva un po’. L’orgoglio era completato da una prestazione lusinghiera in occasione del terzo tempo. Perché era stato lì, in un sobborgo di Londra dal nome impronunciabile, che avevamo scoperto le gare di bevute di birra nel dopo partita.

Intendiamoci: i terzi tempi non sono solo birra: ci sono anche robuste mangiate, chiacchiere in linguaggi improbabili, musiche, danze e cori. Il clima di euforica fratellanza che caratterizza questi momenti non è una conseguenza dell’alcool, ma la birra aiuta a lubrificare i rapporti umani. Tra le risa e gli scherzi di questa serata nel sobborgo dublinese, emergeva incontestabilmente la rossa Amanda, la più attiva nell’animare la riunione, con battute pungenti per chi osava sfidarla con approcci e vanterie che lei ben sapeva come rintuzzare. Per farla breve, ben pochi dei presenti non ne erano colpiti ed ammaliati.

Ma torniamo a parlare di birra, perché, in fondo, è intorno ad essa, come vedremo, che ruota tutta questa storia. Lo confesso: per quanto ami l’Irlanda e la sua cultura, non riesco ad appassionarmi al gusto della Guinness. Viziato da frequenti viaggi in Austria e Baviera, per me la birra è chiara e non scura. Ma qui, nella patria di questa bevanda, era fuori discussione che si potesse bere altro. E quando partì la “gara di bevute di birra”, non mi sottrassi al mio dovere. Si avvicinava l’ora in cui non si possono più bere alcolici, e si era deciso di limitare la gara ad una disfida a due, un campione per gli irlandesi ed uno per gli italiani. Ci posero dinnanzi tre boccali a testa, ed al via partimmo.

Non ci fu gara. Questo è uno degli “achievements” di cui menerò vanto finché campo: avere battuto un irlandese a bevute di birra. Quando si tratta di ingurgitare, so essere un lavandino, e quando finii le mie due pinte e mezzo, il povero avversario ne aveva a stento bevuta una. Dire che il pensiero di Amanda sia stato la causa di questa prestazione così fuori dall’ordinario sarebbe forse romantico ma non corrisponderebbe al vero. È vero, invece, che da quel momento lei non ebbe occhi che per me. Non voglio dire che gli stereotipi sull’Irlanda e sugli irlandesi siano tutti veri, però ho dovuto constatare che un robusto bevitore di birra ha più possibilità di suscitare ammirazione nel sesso femminino di uno che non sopporti l’alcool.

Ora vorrete sapere perché la giornata (la nottata) non si sia conclusa come lo svolgimento dei fatti lascerebbe presagire. Ma ho troppo rispetto per la sensibilità dei miei lettori per dire esplicitamente quale fu la stanza che ebbe ripetute visite quella notte, dopo avere fatto il pieno di birra.

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Massimiliano "Q-ROB" Roveri writes on and about Internet since 1997. A philosopher lent to the IT world blogs, shares (and teaches how to blog and share) between Ireland and Italy.

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