Dalla sua posizione privilegiata, poteva osservare il cielo bianco punteggiarsi di nuvole grigie, le quali, come sbuffi di fumo, si muovevano spinte dal vento. A svettare nel mezzo di quello sfondo plumbeo spiccava The Spire, la torre d’acciaio di 120 metri che si trova al centro della città come un ago piantato nell’asfalto. Diverse persone si disperdevano intorno a loro, non notandoli, impegnate come erano a seguire la scia dei propri pensieri. Di fianco, i bus a due piani gialli e blu viaggiavano, percorrendo la strada e fermandosi di tanto in tanto per far salire e scendere i passeggeri. Roberto si stava facendo largo tra la gente, per raggiungere il Trinity College e vedere la famosa biblioteca.
Nonostante fosse lì da tempo, lui non si era ancora abituato all’aria gelida e al vento irlandese, che cercava di strattonarlo lontano. Ma Roberto l’aveva scelto per accompagnarlo in quest’avventura in giro per Dublino, e lui non poteva deluderlo. Non avrebbe mai pensato che sarebbe stato proprio lui ad uscire da quel negozio di souvenir. Ce n’erano di più belli o di meno appariscenti, ma, tra tutti, Roberto era stato attirato da lui, attraverso la vetrina: un cappello di feltro verde smeraldo con un trifoglio cucito su un lato. Era appeso tra molti suoi simili, ma non era stato mai scelto finora, perché aveva perso la fibbia lungo il nastro nero che lo avvolgeva. Il ragazzo non ci aveva badato, lo aveva indossato e, guardandosi allo specchio, si era sentito subito tramutato in un folletto, a cui mancava solo la pentola d’oro. Era stato tentato di prendere anche delle pantofole a forma di stivali con le ghette lucide, ma si era trattenuto, avendo visto il prezzo. Si era accontentato del cappello, che aveva indossato prontamente all’uscita del negozio. Era la prima volta che quel piccolo pezzo di feltro cucito sentiva gocce di una pioggia leggera bagnargli il risvolto, ma sotto sotto era piacevole. Sempre meglio che rimanere nella busta di plastica, al buio nel magazzino. Finalmente sentiva di avere uno scopo: proteggere gli ispidi capelli castani di Roberto. Come spiccava quel puntino smeraldo nell’immensità di grigi e neri.
Dopo una fila di venti minuti, l’interno della biblioteca gli si parò davanti; ma anche di lato, e sopra. Ovunque poggiasse lo sguardo, scaffali infiniti di libri occupavano le pareti. Il cappello da folletto aveva perso la prospettiva elevata, passando ad essere tra le mani di Roberto, che se lo rigirava, provando a scaldarsi le dita. Zaini, schiene e braccia si susseguivano a causa del nuovo punto di vista. Da qui, una nuova sensazione lo colpì: l’odore del legno e di carta vecchia, molto meglio della plastica a cui era abituato in negozio. All’uscita, l’impatto con la temperatura esterna era stato nuovamente traumatico, anche per Roberto, che si era rifugiato in uno Starbucks per prendere una tazza fumante di caffè. Non avrebbero mai raggiunto i livelli dell’espresso italiano, perciò aveva optato per un cappuccino con tanta panna. Al piano superiore, aveva trovato una poltrona libera e posizionato la tazza sul tavolino. Da quella posizione poteva guardare la via e l’andirivieni di persone. Nel frattempo, il cappello si era ritrovato relegato nello zaino, in compagnia di altri oggetti, che non riusciva a capire. Lo avevano accolto entusiasti e bombardato di domande, ma parlavano un’altra lingua. Ad un certo punto, una voce andò in suo soccorso “Non aver paura. Ti stanno dando il benvenuto.” . Un libricino consunto si era fatto avanti; sulla copertina si poteva leggere: Dizionario Italiano-Inglese, Inglese-Italiano.