SPLF Flash Fiction Contest 2019 – Avalon, la ragazza nell’acqua

Stanze piene di ricordi e di verbi al vissuto. Immersa nel dramma dell’assenza e dell’abbandono, la disperazione proiettava fantasmi neri sul grande schermo delle mura domestiche. Quanta nostalgia e frustrazione può essere contenuta nel ciclo dei ricordi che si chiude e ti dice “mai più!”.

Così delineò il suo perimetro di carne dolente, galleggiò nella confusione torbida del dolore e divenne un’isola impossibile da attraccare, tutelata dalle nebbie perpetue della diffidenza che proteggevano, come un’ostrica la perla, la sua fragilità. Le case, le strade ed ogni architettura creata per il diletto degli occhi, non le interessavano più e in assenza di stimoli, di parole non sue, si mise a traslocare da casa sua… a casa sua. Prese dei grandi scatoloni e li riempì di libri, soprammobili e tutto quello che c’era nell’abitazione.

Si muoveva febbrile, sembrava portare in mano solo degli aggeggi senza vita, ma in realtà era la sua anima che stava traslocando, in cerca di pace. Chiuse tutto negli scatoloni, li sigillò e li lasciò là, sul pavimento, muti come il suo soffio vitale, pari a scogli mostruosi ed evidenti, simili a grattacieli abusivi, feroci e monotoni, basi per altezze che non offrivano conforto ad una vita senza prospettive. Ogni volta che rincasava dal lavoro vi sarebbe sbattuta contro se non avesse ben appreso l’arte di aggirare, evitare, come una corsa agli ostacoli della vita che tanto abilmente ci creiamo e da soli scegliamo di affrontare. A volte, siamo ridicoli… e lei lo sapeva bene. Il suo trasloco creativo finì presto, quando i primi scarafaggi diedero segno della loro presenza all’interno degli scatoloni e allora ne prese il contenuto e lo sistemò in modo bislacco: pile di libri negli armadi e non so che altra collocazione inappropriata scelse. Quello che so è che nei pacchi della sua vita c’erano le cose di sempre, avevano solo cambiato posto, perché nulla sarebbe più stato come prima, ma tutto quello che le serviva per andare avanti era ancora lì dentro e forse doveva solo capire che c’è un tempo per tutto, un posto giusto per ogni cosa e che niente è inutile. Non più la collocazione che altri avevano dato agli oggetti, ma una posizione nuova, forse timida, ma certamente sua. Era diventata l’architetto di sé stessa. Credo sapesse anche questo. Fra le cose che maneggiò, trovò dei vecchi diari, materiale di anni e anni di vita vissuta. Lei sosteneva che la scrittura è estemporanea ed ha senso solo nel preciso momento in cui vivi i fatti che descrivi. Dopo, gli scritti, si tingono di banalità, sono goffi e grotteschi e poi, tutto quel passato scritto in quei quaderni dalla copertina rigida le pesava addosso come una emicrania infinita e così decise di liberarsene. Pensò di bruciare i diari, ma avrebbe appiccato fuoco alla sua abitazione e per quanto scottanti fossero le memorie… non le sembrava il caso. Ricordo l’esatto momento in cui mi raccontò dell’annientamento dei suoi diari ed io pensai che un soldato esperto nelle tecniche di attacco, vi assicuro, non avrebbe potuto insegnarle nulla, ma ritornando al racconto, era sera quando Avalon si espresse così: ”Ho riempito la vasca da bagno di acqua e li ho annegati, li ho lasciati a macerare per due o tre giorni e le parole si sono sciolte completamente, non si leggeva più niente. Poi le ho messe in un sacco nero che riempito pesava una tonnellata e le ho buttate in un bidone dell’immondizia”. Forse vi sembrerà una pazzia, ma trovai queste parola di una poeticità unica e letale come l’arte metodica della distruzione di se stessa, del suo vissuto e il peso estenuante della parola che ti gravida dentro e ti deforma, fino al rito catartico, ma necessario, della rottura con le aspirazioni, che mai videro la luce, contenute in quelle parole mai dette. Quello che Avalon aveva volutamente ignorato era che in quella vasca, quel giorno, galleggiavano le carcasse delle parole buone che avevano portato speranza, insieme alle carogne delle parole cattive che avevano peggiorato la visione della vita, e se solo avesse visto quanta bellezza e quanto amore, a prescindere dai fallimenti, albeggiassero dentro ognuna di quelle parole (che trattava come scarabocchi), sono certa che avrebbe intravisto la meravigliosa persona che è oggi. Una creatura vibrante di luce era stata partorita da ognuna di quelle letterine mai pronunciate. Dai sentimenti costretti in frasi, periodi e tempi verbali diversi. Ognuno di quei fardelli da sfogliare aveva un peso diverso e capire questo è importante: il sacco opprimente del passato che le gravava sulla schiena (che poi è la gobba di tutti noi) sarebbe pesato meno della metà. Ma lo sapeva, io so che è così, anche se non lo avrebbe confidato a nessuno, mai, in nessuna parte del mondo, neanche a me. Avalon, oggi, è una donna diligentemente solitaria che si muove abilmente nella carta topografica della sua esistenza, in perfetta armonia con le cose che danno equilibrio al suo strambo mondo. Avalon è un’isola animata e su un’isola non ci capiti per caso, la scegli, oppure, come è successo a me, nel quotidiano naufragio di me stessa, ci sbatti contro con sollievo. Lei è la ragazza nell’acqua, trasparente come l’assenza, e quando, in certi giorni qualunque, decide di diradare le nebbie e di lasciarmi approdare alle rive emblematiche dei suoi pensieri, sul suolo misterioso della sua vita in sordina, io so che è la primavera lungimirante di un privilegio.

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Massimiliano "Q-ROB" Roveri writes on and about Internet since 1997. A philosopher lent to the IT world blogs, shares (and teaches how to blog and share) between Ireland and Italy.

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