Nei polmoni l’odore della polvere di cemento e negli occhi le scogliere e i sorbi selvatici scossi dal vento del Nord.
Brian era irlandese, ma lavorava in un cantiere edile alla periferia della città di Londra. Faceva un orario massacrante e guadagnava quel tanto che gli bastava per vivere. Era in esilio ed era un sorvegliato speciale di Sua Maestà Britannica.
Non era mai stato un membro dell’ IRA anche se alcuni suoi amici ne facevano parte. Come loro aveva un insopprimibile desiderio di libertà e odiava il governo collaborazionista di Belfast.
Non disapprovava gli attivisti, lui però non lo era. Qualche ciottolo tirato alle vetrine e qualche ingiuria ai poliziotti era tutto quello che in tanti anni si era concesso di fare.
Brian aveva trent’anni. Forse ne dimostrava di più.
Mentre caricava la betoniera, sollevando nuvole grigie, ricordava il giorno della perquisizione come se l’avesse stampato nella mente. Erano a tavola, nella sua casa a Belfast, lui e la sua famiglia, e stavano mangiano quando i soldati britannici insieme alle guarde della R.C.U. avevano fatto irruzione. Sotto lo sguardo atterrito di sua moglie e di suo figlio Peter i soldati lo avevano picchiato e poi sbattuto con la faccia contro il muro. Intanto gli altri mettevano a soqquadro l’appartamento. Quei maledetti volantini!
Posò la pala a terra per riprendere fiato. Quei volantini gli avevano rovinato la vita. Eppure erano bastati per accusarlo, per fargli perdere il alvoro, per costringerlo a lasciare il paese per sospetta complicità con l’IRA.
Già da un anno non vedeva Eleonore e suo figlio Peter. Gli mancavano terribilmente.
Era sera inoltrata quando lasciò il cantiere per tornare a casa. La stanza in cui viveva era molto piccola, c’era posto solo per il letto, una stufa sulla quale Brian scaldava la cena.
A notte fonda uscì di nuovo per raggiungere uno dei pub sottostrada.
Mentre era seduto al bancone del bar un uomo gli sedette vicino.
“Allora? Ci stai?” Brian non rispose.
“Ricordi vero come hanno massacrato mio fratello Stevie?”
“Quello che ci hanno fatto! Che hanno fatto all’Irlanda!” continuò il tizio quasi urlando.
Brian buttò giù di un fiato tutto il boccale e poi si alzò per andarsene. L’uomo però lo afferrò per un braccio e lo costrinse a fermarsi.
“Chi è dentro mai più fuori” sentenziò.
Brian si liberò dalla presa e uscì in strada. Chiuse gli occhi, allargò lentamente le braccia e con un grido rauco sfogò tutta la sua frustrazione.
“Taci ubriacone!” imprecò qualcuno da una finestra.
Brian si accese una sigaretta e prese la via di casa.
Il mattino successivo arrivò presto. “Maledetta birra!” Aveva un gran cerchio alla testa.
Ripensò alla sera prima, ma la mente era ancora annebbiata. Solo una cosa gli era chiara: aveva dato la propria parola. Che fosse giusto o sbagliato oramai non aveva importanza. Quanto era costato all’ Irlanda il suo sogno di libertà? Le prigioni dell’Ulster, i morti nelle strade, potevano rispondere al suo posto.
Quel sabato stesso Brian e il “rosso”, l’uomo che aveva incontrato al pub, avrebbero portato un ordigno , nascosto in una sporta della spesa, in una delle sale d’aspetto dell’aeroporto di Stansed. Sarebbe scoppiata alle 13.00 in punto.
L’irlandese osservò, dalla finestra, il viavai nella strada. Per certi aspetti quella periferia gli ricordava Belfast: una città grigia e disumana. Ben diversa dalla contea di Antrim, una macchia di verde infinito, dove era nato.
Il “rosso” lo aspettava in strada . Fumava. Si diressero alla sotterranea, poi, incrociandosi, si scambiarono le borse e presero strade diverse: il “rosso verso la linea viola -Chesam e Brian svoltò in direzione blu-Totthenam Hale.
Brian stringeva con forza i manici della borsa: l’odio che covava dentro lo rendeva immune dal provare sentimenti? La paura e l’adrenalina si fondevano nel suo animo e lo facevano tremare.
Quello era un piano criminale. Una strage di innocenti. Non era possibile nascondere la vera natura del loro “disegno” sotto falsi ideali o sogni infranti. Anche se era in nome della lotta per la libertà era un orribile crimine.
Eppure, nonostante questi pensieri gli turbinassero nella mente, Brian trovò ugualmente la forza per proseguire nel piano. Si sedette su di una poltroncina della sala d’aspetto, aprì il giornale e cominciò a sfogliarlo. Trascorsi alcuni minuti si alzò, ripose il giornale nella borsa e si diresse ad un contenitore di rifiuti dove si liberò di tutto quanto. Con cautela si assicurò che nessuno lo avesse notato e si avviò all’uscita principale.
Salì sulla metro: era gremita di persone.
Arrivato a casa, entrò e chiuse in fretta la porta alle sue spalle. Rivoli di sudore gli scesero dalla fronte, sul collo, dietro la schiena. Guardò quell’unica stanza in cui viveva, con i pochi vestiti gettati come capitava e sentì tutta la miseria della propria esistenza.
Si accasciò , come una marionetta rotta, su di una sedia. Allungò una mano e accese la radio.
Erano trascorsi pochi minuti quando all’improvviso suonò il campanello d’ingresso. Ci vollero molti squilli prima che Brian si alzasse per andare ad aprire.
“Telegramma!” urlò il piccolo fattorino.
Il ragazzo irlandese firmò, perplesso, e richiuse la porta. Aprì l’involucro del telegramma e lesse: PETER ANTICIPA VACANZE ARRIVA LONDRA SABATO ORE 13 AEROPORTO STANSED BACI ELEONORE.
Un’ occhiata all’orologio bastò: erano le 13.05. Radio Londra annunciò l’avvenuto attentato.