Sanremo e il fantasma di Beckett

Fantasmi. Fantasmi. Quando non sai come cominciare mettici un fantasma. Se non sai come continuare metticene due. Sono sul treno . Supponiamo che debba andare da qualche parte in Italia, per questo sono in treno. Quello che resta delle Cinque Terre alla mia sinistra. Il treno è fermo. Oggi, Italia, Liguria, alla mia sinistra quello che resta delle Cinque Terre. Il treno, fermo.

Forse stavo dormendo. Fantasmi e sequenze oniriche, quando non sai…

– Siamo fermi. – Mi dice lui.
Il tempo di realizzare. Scompartimento, odore di treno, silenzio rumoroso di treno. Gli occhi che prima guardano, poi capiscono (del resto stavo dormendo, no?). La lingua mi parla:
– Da molto? –
– Da una vita. – Risponde.
Allora lo guardo. Somiglia a qualcuno. Somiglia a Beckett. Montgomery e sciarpa, la borsa. Tra le mani, un taccuino. In mano, un lapis. Lapis nervoso, sigaretta: sul treno è vietato fumare. C’è scritto in quattro lingue differenti e tutte e quattro, a lui, dicono la stessa cosa nello stesso modo: è vietato fumare.
Ovviamente non mi meraviglio. Fantasmi, sequenze oniriche: pretesti.

Gli parlo in Inglese. Perché io di Francese ne so proprio poco, e poi per me, lui, è Irlandese. E quindi ci parlo, quantomeno, in Inglese. Perché l’Irlandese lo so quanto il Francese (e lui lo sa, l’Irlandese? Ma non sta bene chiederlo).
– Che cosa ci fai qui? –
– Volevo andare a Roquebrune. Un mio amico si trasferisce lì, in inverno. Ma non arriveremo mai. Non arriveremo in tempo. Il treno è fermo. Quattro giorni. Alla faccia della paralisi. –

Comincio a pensare che così è un po’ troppo. Anche per i fantasmi e le sequenze oniriche.
– E perché dovremmo rimanere bloccati in treno per quattro giorni? –
– E perché no? L’hai letta la comunicazione sul maltempo? Le vostre ferrovie – sul vostre mi si stritola il cuore – parlano del maltempo come dell’Armageddon. Piano Neve. Il piano è: portatevi una coperta. –
– Ma è bel tempo! –
– Fa differenza? Comunque non siamo fermi per il maltempo. Ma tra noi e il mondo, proprio lungo la ferrovia, c’è Sanremo. Tutti i treni sono fermi. Per quattro giorni. Quattro, credo. Non ne sono sicuro. Una cosa è certa: finisce, prima o poi. –
– Tanto vale fare due chiacchiere, no? – La butto lì. Quando mi ricapita un’occasione del genere?
– Scrivi anche tu? –

Arrossisco… Poi: – Sì. No. Diciamo… Diciamo che sono un giornalista. – Vedo il disprezzo sul suo volto, ma alla fine lo preferisco. Mi dice:
– Beh, allora intervistami. Quando ti ricapita un’occasione del genere? –
– In effetti… Posso cominciare? –
– Questo fa già parte del test? –
– ..? –
– Scusami. Faccio sempre così ai giornalisti, da quando ho visto Blade Runner. Gran bel film, ci sono un sacco di occhi. –
– Hai visto Blade Runner? –
– Sì. Ero vivo quando è uscito. –

Mi viene in mente la domanda del secolo. Almeno per me: – Senti… La formazione. Quella di fantarugby. Potresti dirmela tutta? Ok, James mediano di mischia, ma il resto? –
– No. Il rugby è una cosa seria. Quella formazione è morta con me. Mettila in quell’angolo del tuo cervello dove tieni le cose belle e mai nate, come il film su Napoleone girato da Kubrick e quello su Stalingrado girato da Sergio Leone. E quell’altra cosa. –
Ma come cazzo fa a sapere… – Beh… Ma allora… Di che cosa vorresti parlare? –

– Di Sanremo. –
– Stai scherzando? – Mi guarda. No. Non sta scherzando.
– C’è da un sacco di tempo. Una sessantina d’anni? –
– Più si va avanti più fa schifo. [Godot] –
– Lo sai che lo guarda un sacco di gente? –
– La gente è troppo cretina. [Godot] –
– Beh, sai è è una cosa… Come la definiscono? Nazionalpopolare. Gente che non sa che fare mentre se ne sta a casa… –
– Che cosè stare a casa? Una dissoluzione a fuoco lento. [Tutti Quelli Che Cadono] –
– Non dirlo a me. Al limite vado al pub. Ieri sera poi. No: due sere fa. C’era Sanremo. Ma io leggevo te. Sai, ero solo. Lei era al… – Mi interrompe:
– Centro commerciale affollato… [Non Io] –
– Già! Lo sai: mandrie che vagano tra gli scaffali… – Mi interrompe di nuovo:
– Per poi pagare e andare via… Senza nemmeno un buongiorno… [Non Io] –
– Già! Ci ho lavorato anche io. E come li odiavo, quelli che non ti davano nemmeno un buongiorno. C’è una connessione, vero? Lo pensi anche tu? La sparizione della qualità. E se tu sei tra quelli diversi, per te è… –
– Come mangiare del vetro. [Dante E L’Aragosta] –
– Bravo. Esatto. Secondo me è proprio perfetto che prima ci sia Sanremo e poi ci siano le elezioni. Questo Paese è così. Non lo so com’era prima. Ma adesso è così. Tutto è colluso con tutto. Tutto è obliquo. Forse bisognerebbe fare qualcosa. Ma cosa? –
– Non si potrebbe migliorare l’ascoltatore? [Compagnia] –
– Già. Ma come? E poi io non sono nessuno, dovrei smetterla con le donchisciottate megalomani (ma ti rendi conto, Sammy, che sto usando te? Roba che dovresti arrestarmi e buttare via la chiave!). E non tirare fuori la solita storia del… –
– Fallire meglio di nuovo. O meglio peggio. Fallire peggio di nuovo. Ancora un po’ peggio di prima. –
– Ecco. Lo sapevo che ce l’avresti infilata. Ma tu te ne rendi conto che ci hai rovinati tutti con questa storia? Mentivi! Lo sai. Detto da te, proprio, suona come una presa per il culo. Non hai mai fallito, non sei mai fallito. –
– E tu che ne sai? –
– Hai ragione. Scusami. E poi dovevamo parlare di Sanremo. Con i suoi presentatori di sinistra a dire cose di sinistra e fare cose di destra. Scrivi il libro, fai il film, fai televisione, fai tutto. Scusami. Dovremmo farla finita. Magari alleggerendo un po’. –
– Te la sei tenuta per ultima… –
– Cazzo. Mi ha rovinato la vita, quella donna. Era follia. Perché, cazzo, hai un bel dire che i quartieri poveri sono tutti uguali. Dalle tue parti Thin Lizzy, gli U2, e poi Glen. E invece io avevo Laura Pausini. Mi ha rovinato la vita. La sentivi lamentarsi di Marco quando eri ancora alla fermata dell’autobus, a tutto volume. Arrivavi a casa e ce l’avevi sulla testa, lei e quello stronzo di Marco! Tutto perché questo Paese è così. A tutto volume: senza rispetto. Ma potresti ancora sopportare se non fosse merda, quella che ti sparano a tutto volume. Questo paese se l’è meritata, Laura Pausini. Si merita Fabio Fazio. Si merita tutto quello che c’è, perché questo Paese è così. Se solo Laura Pausini avesse, che ne so, studiato medicina, se solo in questo Paese ci fosse la musica invece di Sanremo, avremmo potuto… –
– Stroncare un disastro sul nascere [Tutti Quelli Che Cadono]? –
– Qui ti volevo. Grazie, Sammy. –

 

About maxorover

Ebbene sì. Max O'Rover parla anche Italiano. E in Italiano scrive. Un Irlandese con la geografia contro, ecco chi è Max O'Rover. Il falso vero nome (quindi vero o falso?) di Max O'Rover è, ovviamente, in Irlandese: Mach uí Rómhar. "Rómhar" è il ventre, ma anche il ventre della terra, quello in cui crescono i semi, in cui nascono gli alberi. Mica male per essere uno che non esiste, avere un cognome così evocativo. Prima o poi la scriverò, la vera falsa storia degli uí Rómhar. La storia del perché ci hanno cacciato via. Una storia fatta di boschi sacri che non abbiamo difeso, di maledizioni scagliate contro di noi da Boann. Un pugno di druidi falliti costretti a scendere a sud. Fino a che la maledizione sarà spezzata. Fino a quando potremo tornare. Quando sono in pausa pranzo, ogni giorno, mangio una mela. Non getto mai i semi della mela nella spazzatura. Li getto nel prato. Perché sotto sotto ci credo, alla maledizione. Mi ricordo la maledizione. Ma non ricordo quanti alberi devo far crescere: dieci? Mille? Un milione? Intanto continuo a gettare i semi nel prato, e ad aspettare il ritorno a casa.

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