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Recensioni Il Giorno Che Incontrammo Roddy Doyle

Sono passati otto anni dalla prima pubblicazione, prima che Il Giorno Che Incontrammo Roddy Doyle venisse pubblicato da Antonio Tombolini Editore nella collana Oceania, il giorno di San Patrizio 2017. Per questo anche soltanto pochi giorni prima della “nuova” pubblicazione è possibile leggere alcune recensioni del libro.

Aggiornerò questa pagina con le nuove recensioni! E intanto vi spiegherò perché la peggiore recensione al libro mi piaccia tanto…

Qua sotto, gli estratti da alcune delle recensioni pubblicate su aNobii, GoodReads e Facebook.

Il Giorno Che Incontrammo Roddy Doyle: clicca per saperne di più!

Leggendo Il giorno che incontrammo Roddy Doyle, pubblicato da Antonio Tombolini Editore nella collana Oceania (collana, diretta da Michele Marziani, che è un esempio virtuoso della ricerca di una narrativa nuova che coniughi differenze e similarità),

si assiste felicemente alla genesi di un romanzo europeo tout court

(paradigma di una neonarrativa che esalta le sfaccettature umane di chi vive, ama, lavora, soffre in questo nostro continente), che conduce alla definizione limpida di un riflesso che, attraversato il prisma degli stilemi narrativi, partorisce un felice arcobaleno romanzesco sapientemente dominato da Max O’Rover che ne è l’artefice.

Angelo Ricci, Il Colophon

I primi capitoli de Il Giorno Che Incontrammo Roddy Doyle mi avevano lasciato un po’ perplesso. Mi sembravano disordinati, troppo slegati tra loro.

Poi il romanzo ha preso il ritmo giusto, il plot ha cominciato a delinearsi, i personaggi sono venuti fuori e i loro destini si sono incrociati in un intreccio davvero ben costruito.

Max ha uno stile molto disinvolto (“fresh” come ha detto Catherine Dunne), ma la vera anima del libro sta tutta nel suo “mal d’Irlanda” che viene fuori in ogni pagina in tutta la sua autenticità. Se così non fosse, il suo giocare con gli stereotipi locali – la Guinness, James Joyce, i folletti, le banshee e tutto il folklore gaelico (“Non si dice gaelico, si dice irlandese!” ripete in continuazione uno dei protagonisti) – suonerebbe stucchevole. Il bello è che l’autore parte proprio da quegli elementi lì, da quella mitologia da pub tipica del “fissato con l’Irlanda” entry-level, però poi la porta a un altro livello. Essere capaci di far sentire la differenze, senza passare per snob.

Consigliato ai malati d’Irlanda, e non solo a loro.

Federico Platania

*****
“Il giorno che incontrammo Roddy Doyle” è un libro irlandese per la poesia che ha dentro, per le storie che racconta, per il dolce amaro che trasmette, per la magia reale che traspare dalle pagine, perchè parla di sogni incredibilmente concreti, perchè parla di tristezza e felicità.

Martina Bonati (Facebook)

****
Piacevolissimo. L’autore descrive esattamente l’Irlanda dei miei sogni. Sono stupita dall’affinità che ho sentito nei confronti dei personaggi di questo romanzo fresco e sorprendente. Il lettore comincia a leggere con il sorriso sulle labbra e continua così fino all’ultima parola del libro.

Consigliato.

Silvia Silvi (aNobii)

***
Mi sarebbe piaciuto leggerlo in lingua originale perchè ho trovato la traduzione a tratti un po’ forzata (odio quando sotto il testo italiano sento le strutture grammaticali della lingua di partenza).
Se no storia molto carina e Dublino magnifica e sfolgorante come al solito :)

Klava (GoodReads)

Eccola qua, la recensione “peggiore”. Che corrisponde a un: missione compiuta! Il Giorno Che Incontrammo Roddy Doyle è stato, per me, un libro con cui cercavo di dare non solo una voce, ma anche una identità, al senso di appartenenza che sento quando si parla di Irlanda. Ho creato una identità altra, lo pseudonimo con cui scrivo, perché, di fatto è un altro io quello che, appunto, scrive. Ho creato una vita diversa, e l’ho creata per raccontarla. Di più: l’ho creata per viverla, perché adesso vivo davvero a Dublino. Sto diventando l’io che ho scritto.

Uno degli elementi più importanti che costruisce una identità personale è quello della lingua. Quella di usare talvolta, nella scrittura del romanzo, una voce incerta, che mescola l’italiano e l’inglese, era una scelta voluta. Corrisponde a una fase reale che sto sperimentando adesso: quella in cui non si parlano due lingue, come dico sempre ai miei amici irlandesi. Quella fase in cui a volte mi scappa un Sorry! anche quando sono in Italia, quella fase che talvolta mi fa sognare in inglese, quella fase in cui ormai sono praticamente incapace di utilizzare le parole “biblioteca” o “libreria” perché faccio una gran confusione.

Il Giorno Che Incontrammo Roddy Doyle non è un libro italiano, e non è un libro irlandese. Il Giorno Che Incontrammo Roddy Doyle è letteratura (bella o brutta, alta o bassa: questo non sta a me deciderlo, ma letteratura) migrante. Io sono un migrante, e l’incertezza di chi deve – di chi vuole – vivere in un mondo altro volevo esprimerla scrivendo. A quanto pare, ci sono riuscito… 

*****
Il libro di Max O’Rover, nuovo e promettente autore che, al suo esordio, non ha niente da invidiare al celeberrimo Roddy Doyle.

Laura Schiavini (aNobii)

Non recensioni, ma stelline…

Musara *****
Palla *****
Maueros *****
Chibi Zai *****
Irma ****
Astrea **

About maxorover

Ebbene sì. Max O'Rover parla anche Italiano. E in Italiano scrive. Un Irlandese con la geografia contro, ecco chi è Max O'Rover. Il falso vero nome (quindi vero o falso?) di Max O'Rover è, ovviamente, in Irlandese: Mach uí Rómhar. "Rómhar" è il ventre, ma anche il ventre della terra, quello in cui crescono i semi, in cui nascono gli alberi. Mica male per essere uno che non esiste, avere un cognome così evocativo. Prima o poi la scriverò, la vera falsa storia degli uí Rómhar. La storia del perché ci hanno cacciato via. Una storia fatta di boschi sacri che non abbiamo difeso, di maledizioni scagliate contro di noi da Boann. Un pugno di druidi falliti costretti a scendere a sud. Fino a che la maledizione sarà spezzata. Fino a quando potremo tornare. Quando sono in pausa pranzo, ogni giorno, mangio una mela. Non getto mai i semi della mela nella spazzatura. Li getto nel prato. Perché sotto sotto ci credo, alla maledizione. Mi ricordo la maledizione. Ma non ricordo quanti alberi devo far crescere: dieci? Mille? Un milione? Intanto continuo a gettare i semi nel prato, e ad aspettare il ritorno a casa.

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