Ecocritica gender related: dal Serendipide a Uma Thurman.
Sapete che cosa significa serendipide?
Beato il Bartezzaghi Senior che – allora internet non c’era – poteva mettere la parola serendipide in un cruciverba e far impazzire chiunque, ché parola assai rara era, serendipide. La serendipità ha a che fare con lo Sri Lanka, in prima battuta (se volete wikileggervi tutta la storia…) e indica l’imbattersi in qualcos’altro mentre stiamo cercando qualcosa.
OK. Che da queste parti ci occupiamo, e molto, di Irlanda, ve lo abbiamo già detto. Dove? Su ItalishMagazine. Occuparsi di Irlanda significa spararsi cultura irlandese (cinema, musica, TV e libri, tanti libri) al ritmo con cui Dude Lebowski si nutre di White Russian.
Ecocritica: dall’Irlanda alla TV
Così leggendo l’interessantissimo saggio di Patrick Lonergan su Martin Mc Donagh (di cui ovviamente non vi parleremo qui) mi sono imbattuto in un serendipide evidente come un pollice gonfio: un approccio ecocritico all’opus del medesimo Mc Donagh.
Che cosa è l’Ecocriticism leggetevelo su wiki.
Per me è una cosa che fa parte della mia vita da un bel po’, anche se non avevo ancora letto né il libro di Lonergan né quello che, about Ecocriticism, si può trovare online. Il fatto poi che la voce Ecocriticism di Wikipedia non sia tradotta in Italiano mi sembra molto significativa.
Ma non è questo il punto, almeno in questo post. Mi sembrava interessante, invece, utilizzare l’approccio ecocritico non tanto per analizzare l’arte, ma per analizzare qualcosa che mi permettesse di non finire in un clamoroso fuori-tema.
E così ho fatto il classico due più due, e mi sono detto: perché non utilizzare l’approccio ecocritico per analizzare delle pubblicità? E quali pubblicità possono prestarsi meglio di quelle delle automobili, che sempre più devono fare i conti con la nascita, lenta, ondivaga, debole, ma pian piano sempre meno ignorabile, di una coscienza ecocritica nei clienti targettizzati?
Che cosa credo di aver scoperto? Che si può anche essere postmoderni quanto alla CO2, ma quanto alla visione della donna nelle pubblicità delle auto siamo ancora alle pinup sui cofani o poco più.
Che s’ha da fa’ per campà: Giulietta Thurman
L’avevamo lasciata al volante della Pussy Wagon di Kill Bill e non era possibile essere più chiari di così: la (quasi super-)donna B. Kiddo si riappropriava della sessualità sottrattale da Buck, ed esplicitata in un’auto, in maniera definitiva: uccidendo il bastardo e rubandogli appunto l’auto (ovvero: l’utero è mio e lo gestisco a colpi di katana).
E invece ce la ritroviamo madre di parto trigemino su un’auto sicura con cui riporta le pargole. Le riporta dove? A casa? E dov’erano? Al corso serale di karate tenuto da Pai Mei alla scuola all’angolo..? In una pubblicità d’auto neanche Uma Thurman può permettersi di essere bella e pericolosa: può anche avere ammazzato tutti gli 88 Folli nel frattempo, ma a sera torna a casa, con le bambine in ordine, e pronta per preparare du’ spaghi a Bill…
Captiva: le parole sono importanti!
Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti. E anche i nomi delle auto sono parole. Guardate questo spot per la Chevrolet Captiva:
Che romanticismo, vero? Bene. Ora provate a entrare nella testa di lei. Questo imbecille ha portato il suv sulla spiaggia. Che cosa gli serviva sulla spiaggia? Il rastrello. Ha portato l’auto in spiaggia per un rastrello. Se tanto mi dà tanto quando la tipa lo manderà a fare la spesa gli servirà un autoarticolato…
Ma c’è di più. Captiva è il femminile (ma guarda un po’) del Latino Captivus. Il captivus è il prigioniero di guerra. Il penultimo passo prima di diventare servus, schiavo. Il tipo sarà anche bravo a usare il rastrello, ma la vorresti una relazione con uno che chiama schiava anche la sua auto..?
Va meglio con la Lancia Musa e Carla Bruni:
In questo caso la figura femminile è più attiva, ma comunque non ha potere decisionale sulla sua auto: ne è solo una passeggera. E il target è decisamente femminile. Tanto vale premiare la strana coppia madre -0 figlia della Twingo:
almeno in questo caso la donna, anzi le donne, sono protagoniste al 100%. Se vogliamo, però, anche questa pubblicità è comunque sessista, perché torniamo alla questione della target orientation.
E quindi?
E quindi, da ciclisti indefessi ed ecocritici, quello che diciamo alle donne è: perché utilizzare un mezzo di trasporto progettato da maschi per i maschi, venduto da maschi a maschi (se non nell’eccezione, e accezione, di seconda auto – 0 perché solo la seconda auto è quella declinata al femminile)?
Le tematiche dell’ecocriticism sono spesso collegate alle tematiche di critica del genere (sessuale), e non è un caso: la terra, e la donna, subiscono da sempre e quasi ovunque la stessa problematica di un approccio maschile e maschilista. Pari opportunità ed ecologia sono, quasi certamente, due modi diversi di dire la stessa cosa su ciò di cui il pianeta ha bisogno.
E quindi?
Se siete donne arrabbiatevi per come vi trattano quando un pubblicitario cerca di vendere un’auto utilizzandovi e diteglielo, diteglielo chiaro e forte che siete arrabbiate. E diteglielo pedalando. Perché se su youtube digitando \”pubblicità bici\” non si ottengono video di pubblicità alle biciclette, ma soltanto video in cui le biciclette vengono utilizzate per pubblicizzare altro, e non esiste un social network dei ciclisti, significa che abbiamo un problema.” Donne e Motori … ed ecocritica della pubblicità! Quello che le donne non dicono: appunti per una ecocritica gender related degli spot pubblicitari delle auto