Tra il parco (Phoenix) e la stazione (Heuston) c’è uno dei ponti che attraversa la Liffey.
I ponti di Dublino sono uno dei luoghi preferiti dai mendicanti (e sui mendicanti di Dublino ha detto meglio e più di me Ray Bradbury in Verdi Ombre Balena Bianca: non c’è nulla da aggiungere, leggetevi quel libro) e questo ponte non fa eccezione.
Lui è accoccolato proprio a metà del ponte, con il vento alle spalle, come tutti quelli abbastanza scafati, o abbastanza fortunati da trovare il posto giusto.
Tra le ginocchia ha uno di quei bicchieroni per il tè o il caffè take away (odio la loro esistenza, odio vederli galleggiare nella Liffey o nello stagno del Green) e un libro.
Sta leggendo.
Realizzo immediatamente che conosco quel libro, ne riconosco la copertina.
Il libro è The Woman Who Walked Into Doors, il libro di Roddy Doyle che mi ha fatto cominciare a scrivere.
Sembra proprio la prima edizione, con la copertina rigida, la foto è quella delle lettere magnetiche che compongono il titolo.
Sembra proprio quella stessa prima edizione che ho a casa, autografata due volte da Roddy Doyle (perché alla fine sì: l’ho incontrato davvero, Roddy Doyle).
Gli do gli spiccioli piccoli, tutti quelli che ho. Quelli grandi no, perché ci devo stare attento, al budget giornaliero.
Gli dico che è un gran bel libro, lui risponde che sì, è vero, e gli dico di prendersi cura di sé.
Poi mi allontano, e arrivo alla fine del ponte. E mi metto a piangere.