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Perdersi a Dublino
Perdersi a Dublino è salutare. Fidatevi.
Giovedì prossimo ho un appuntamento importante.
Erano mesi, ormai, forse, anni, che riflettevo su questa cosa, sul cercare di far parte di una cosa bella, una cosa che funziona e che ha a che fare con due delle cose che mi interessano di più: Dublino e scrivere.
Finirò per far parte di questa cosa?
Chissà. Vedremo.
Ma questo pezzetto di diario, un pezzetto troppo grosso (o pretenziosamente troppo importante) per finire nel diario che sono tornato a scrivere di recente, non riguarda “quella cosa”. Che non lo so mica, ancora, se mi prendono a farla, quella cosa.
Riguarda, invece, la strana capacità irlandese di riuscire a costruire una storia anche sulle indicazioni per raggiungere un indirizzo.
Giovedì prossimo, per andare all’appuntamento importante, devo raggiungere un ufficio.
La comunicazione dell’appuntamento mi è arrivata via email.
Quindi per dirmi dove dovrò andare sarebbe stato sufficiente un “QUI” linkato alla relativa Google Map. Clicchi, si apre Google Maps, una goccia al contrario ti dice che il posto è quello.
Ma siamo in Irlanda.
Siamo a Dublino, la città che, con il pretesto di dire come si andava in tram tra Sandymount e il centro, è diventata un libro (sì, quello: l’Ulisse di Joyce).
E così, invece di una mail con il “QUI”, mi è arrivata una mail con un allegato di 764 – settecentosessantaquattro – parole.
Sono riusciti anche a metterci dentro, in queste indicazioni stradali che sono un po’ una piccola odissea, un omaggio a Joyce: volendo la destinazione può essere raggiunta percorrendo Great Denmark Street, lasciandosi sulla sinistra il Belvedere College dove aveva studiato il Nostro. Questo, se vieni da O’Connell Street.
Una piccola odissea dublinese, quindi, che, come tale, non può non citare almeno un pub. Del resto, sempre secondo il Nostro, non puoi attraversare Dublino senza imbatterti in almeno un pub.
In queste 764 parole di pub ce n’è solo uno, in effetti, ma viene citato più volte.
Perché le 764 parole non sono indicazioni assolute sul raggiungimento del luogo in questione.
Sono indicazioni declinate a seconda della tua direzione di avvicinamento. Eri già nella Northside? Eri, ahité, sulla Southside (non dimenticarti il passaporto, allora)?
Le cose cambiano, le prospettive cambiano.
Quel pub non è più prima di quella caffetteria e alla tua sinistra, ma è dopo, e alla tua destra.
Mi direte:
vabbè, si tratta di roba di libri, lo avranno fatto apposta.
Ma non è la prima volta che mi imbatto in indicazioni dublinesi che, davvero, le povere Google Maps perdono tutto il loro zerounistico interesse.
Lo scorso ottobre dovevamo andare a trovare degli amici. Le indicazioni contenevano tutto, tranne il nome della via e il numero civico.
Erano una lezione sullo sviluppo della nuova Luas, lo stadio di Phibsboro, e un memento su come le porte di Dublino siano spesso molto, molto colorate.
Vabbè.
In effetti si trattava di roba di libri anche quella volta, visto che uno degli amici era una scrittrice.
Ma è la città stessa che ti invita a raccontare di te sulle strade mentre cerchi un luogo, mentre cerchi la tua Itaca.
Perdersi a Dublino è parte del chiederti e chiedersi dove stai andando ed è Dublino stessa a darti, come dire: gli strumenti per perderti di nuovo, per perderti meglio.
Quali strumenti?
il reticolo di luoghi dentro ai luoghi, o semplicemente vicino ai luoghi.
Nomi simili, eppure diversi, che ti confondono e si confondono, perché la stessa strada può essere a nord o a sud (neanche la strada in cui abito fa eccezione: ha un suo doppleganger da qualche parte vicino alle vecchie case dei ferrovieri), oppure lo stesso morto ammazzato della Easter Rising o lo stesso grumo di reminiscenza dell’occupazione coloniale diventano un caleidoscopio di road, avenue, square, alley, court, parade, place tale che, anche se sei nel posto giusto – quel morto ammazzato, quel duca inglese (chissà, magari lo stesso che ha fatto ammazzare il patriota) – alla fine puoi essere comunque nel posto sbagliato perché sei nella road ma invece ti aspettavano nella alley. Sei nel place, ma dovevi essere nella parade.
Come se non bastasse, il caleidoscopio assume una iperdimensionalità da frattale quando ci si mette il Gaeilge. Perché la road è anche bothar, l’avenue è anche ascaill e place è un brevissimo, tristissimo plas.
È così che poi ti perdi, a Dublino.
E ti ritrovi a Cabra, di notte, a confessare al vecchio con il cane che non sai dove sei finito.
O, di nuovo a Cabra (ma perché mi perdo sempre a Cabra?) a cercare di capire perché la libreria. No: la biblioteca è sul lato sbagliato della strada (e invece no, è tutta colpa di Google Maps, ma ormai lo sappiamo che non possiamo fidarci, e la mappa, ora, è di carta).
Tanto tempo fa facevo un brutto lavoro in un brutto posto.
Era una brutta domenica pomeriggio, al centro commerciale. Qualcuno mi chiese indicazioni per acquistare un navigatore satellitare.
Risposi che a me piaceva perdermi.
A Cabra, ho scoperto, poi.
