MO’R e il Grande Vecchio

Dublino, 10 agosto.

Qualche giorno fa Paulo Coelho ha avuto la bella idea di andare a sfrugugliare nell’alveare letterario grande come un continente che risponde al nome di James Joyce scatenando un bel vespaio.
Si sa benissimo che, quando non si parla di letteratura ma di mercato dei libri, vale l’adagio del bene o male purché si parli di me.

E così anche l’essere stato ricoperto di ingiurie fa gioco al Coelho medesimo, che così rimane al centro della polemica, ancora per un po’, grazie all’energia che deriva tutta dalla grandezza del bersaglio a cui ha tirato…

Io non sono un critico letterario. Cercando, invece, di essere uno scrittore evito sempre di dare giudizi, appunto, di critica letteraria.

Questo non significa che mi piacciano poco, veramente molto poco, quelle che non sono azioni letterarie ma operazioni di marketing.

Non ce l’ho con Coelho, ma ricordo perfettamente una sua pubblicità per l’HP. Ora, voi ce lo avreste visto James Joyce in televisione a fare la pubblicità? Beh, il fatto è che, affamato costantemente di soldi (l’alcool costa…), probabilmente il nostro James, se solo ci fosse stata, in televisione ci si sarebbe fiondato. E allora? Allora ha ragione Coelho nello sminuire James Joyce, e, contemporaneamente, nel tirarlo dentro a un campo, quello dello “scrittore moderno” in cui a Coelho stare con Joyce, anche se in squadre opposte, fa gioco sicuramente?

Come qualcuno ha già giustamente osservato, già a definirsi scrittore moderno Coelho non ci fa esattamente una gran bella figura, visto che la modernità è morta da un pezzo. E poi mi sembra che il successo di Coelho abbia le stesse caratteristiche di quello di Fabio Volo, autodefinitosi non a caso non-scrittore.

Essere autori di libri pubblicati & di successo non significa automaticamente essere uno scrittore. E mi sembra che la critica portata sia a Volo sia a Coelho, di non essere scrittori, ma altro, sia ineccepibile e, se volessero mettercisi un attimo a pensare i “fan” di Coelho e Volo potrebbero farsi venire un dubbio sul quanto si stanno perdendo leggendo libri di successo invece di letteratura, potrebbe essere proprio questa la chiave di volta per passare ad altro: il successo degli autori… di successo sta nel fatto che in essi il lettore cerca le stesse cose che avrebbe voluto, e potuto, dire lui.

Non c’è nessuna straordinarietà.

Nella letteratura, invece, è la straordinarietà dell’ordinario ad accendere il fuoco, a entusiasmare. Il problema non è dire “ti amo” a un personaggio, ma dirlo come tu, che ovviamente ami, non avresti mai saputo dirlo. Non ci credete?

Andatevi a leggere qualche frase sull’amore scritta da John Banville: non è roba che troverete mai nei Baci Perugina perché se mai ci trovaste una frase di Banville buttereste via tutta la scatola e andreste a cercare il cioccolato che ha lo stesso sapore della vostra amata.

E qui forse non so se mi sono spiegato bene. Ma mica sono Banville, io.

E io son qui a Stephen’s Green a scrivere un romanzo ambientato in buona parte proprio qui. Pensavo di essermi seduto su una panchina a caso, ma il caso non esiste e quando ho alzato gli occhi mi sono trovato di fronte la faccia di bronzo di James Joyce. Di bronzo nel senso che è una statua, di bronzo.
Se ne sta lì e mi guarda e mi dici: ma no, ma dai, stai tranquillo, scrivi pure…

About maxorover

Ebbene sì. Max O'Rover parla anche Italiano. E in Italiano scrive. Un Irlandese con la geografia contro, ecco chi è Max O'Rover. Il falso vero nome (quindi vero o falso?) di Max O'Rover è, ovviamente, in Irlandese: Mach uí Rómhar. "Rómhar" è il ventre, ma anche il ventre della terra, quello in cui crescono i semi, in cui nascono gli alberi. Mica male per essere uno che non esiste, avere un cognome così evocativo. Prima o poi la scriverò, la vera falsa storia degli uí Rómhar. La storia del perché ci hanno cacciato via. Una storia fatta di boschi sacri che non abbiamo difeso, di maledizioni scagliate contro di noi da Boann. Un pugno di druidi falliti costretti a scendere a sud. Fino a che la maledizione sarà spezzata. Fino a quando potremo tornare. Quando sono in pausa pranzo, ogni giorno, mangio una mela. Non getto mai i semi della mela nella spazzatura. Li getto nel prato. Perché sotto sotto ci credo, alla maledizione. Mi ricordo la maledizione. Ma non ricordo quanti alberi devo far crescere: dieci? Mille? Un milione? Intanto continuo a gettare i semi nel prato, e ad aspettare il ritorno a casa.

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