MO’R e l’ultimo? ritorno

Io e il mio “coinquilino” avevamo pianificato da tempo questo viaggio, questo ennesimo ritorno (il… No: ho detto che non li conto più) a Dublino. Saremmo andati comunque. Saremmo andati perché lei ormai mancava da Casa da otto mesi. Era giusto andare, e andare con lei. Alla fine il coinquilino ha trovato il modo di farsi “intervistare” anche a questo giro. Sì: la lezione di Beckett sui fallimenti (antico argomento di disputa) l’ha proprio imparata.E così andiamo a Malahide, per l’ennesima “intervista”. Il posto è bellissimo. Ci arriviamo con la Dart. Quella dei Commitments. La stazione di Barrytown non esiste. Beh, nei nostri cuori sì. Nel frattempo, in un museo, avevamo visto una cartolina di Beckett. Bella storia:  la cartolina di un vecchio genio al ragazzino, nuovo inquilino nella vecchia casa in cui il genio era cresciuto prima di diventare un genio. C’è, oltre alla cartolina, una grande riproduzione di una di quelle foto che hanno reso un’icona il genio anche per la sua faccia. Ho rifotografato la foto. Se la guardi bene nell’occhio destro di Beckett c’è finito il riflesso di un bruscolino. Quel riflesso sono io. Sulla strada per il museo ho visto tre coppie di gazze. La filastrocca dice che due portano bene, e un’Irlandese mi ha detto che non puoi essere Irlandese senza essere superstizioso. Dopo le gazze davanti alla Garda Station, appena entrati in Grafton Street sentiamo una voce tonante che canta Raglan Road. Un ragazzo, giovanissimo, ma con una voce da uomo. Possente, davvero: lo senti ben prima di vederlo. Trattengo le lacrime a stento.  E così siamo andati alla “intervista” con tre coppie di gazze, le lacrime agli occhi e un bruscolo nell’occhio di Beckett. La “intervista” è stata… Come dire… Singolare. Bello poter parlare così. Chissà come è andata. Non sono abbastanza irlandese da fidarmi di tre coppie di gazze.

Quando siamo tornati in Italia ho visto sei gazze in una volta. Vicinissime. Sembrava davvero che fossero venute a cercarmi. Sei gazze, nella filastrocca, significano soldi. Preferisco pensarle come altre tre coppie, perché due significano gioia. E quello che stiamo cercando (tutti e tre, ciscuno a suo modo) è la felicità.

Il ritorno è sempre come passare dalla camera di decompressione (non che mi ci sia mai trovato dal vero, in una camera di decompressione…). La scomparsa della colite quando sono in Irlanda è leggenda. Ma anche un fatto stramaledettamente vero.

Per adesso rimaniamo ad aspettare una telefonata. Da Malahide.

About maxorover

Ebbene sì. Max O'Rover parla anche Italiano. E in Italiano scrive. Un Irlandese con la geografia contro, ecco chi è Max O'Rover. Il falso vero nome (quindi vero o falso?) di Max O'Rover è, ovviamente, in Irlandese: Mach uí Rómhar. "Rómhar" è il ventre, ma anche il ventre della terra, quello in cui crescono i semi, in cui nascono gli alberi. Mica male per essere uno che non esiste, avere un cognome così evocativo. Prima o poi la scriverò, la vera falsa storia degli uí Rómhar. La storia del perché ci hanno cacciato via. Una storia fatta di boschi sacri che non abbiamo difeso, di maledizioni scagliate contro di noi da Boann. Un pugno di druidi falliti costretti a scendere a sud. Fino a che la maledizione sarà spezzata. Fino a quando potremo tornare. Quando sono in pausa pranzo, ogni giorno, mangio una mela. Non getto mai i semi della mela nella spazzatura. Li getto nel prato. Perché sotto sotto ci credo, alla maledizione. Mi ricordo la maledizione. Ma non ricordo quanti alberi devo far crescere: dieci? Mille? Un milione? Intanto continuo a gettare i semi nel prato, e ad aspettare il ritorno a casa.

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