MO’R e le cene solitarie

Lei ha un lavoro che non la merita. conosce probabilmente il 900% di parole in più di coloro con cui ha che fare (e questo non sarebbe il problema) e anche dei suoi capi (e questo un po’ un problema lo è…). Loro non ti danno più neanche un lavoro: te ne danno metà. E quella metà te la vogliono far lavorare quando vogliono.aGS

Che, per me che ormai ho tutte le abitudini di un altro luogo, è come se lavorasse di notte. Mentre è notte, alle sei del pomeriggio (alle sei del pomeriggio è notte. Provaci tu ad andare a cena sulle Aran, alle sei del pomeriggio. Ma già: ora c’è Supermac anche lì, probabilmente puoi mangiare anche più tardi. Se al Supermac c’è da mangiare, per te…) io ceno.
Decido di lasciar perdere la pentola. Ci sono notti in cui la rabbia è così forte che mangio direttamente dalla pentola. Una barbarie, inutile protesta contro la barbarie del lavoro notturno.
Il bollitore è pulito di fresco. Prendo il barattolo di vetro del lapsang.
Se il lapsang fosse alcolico sarei già morto di cirrosi.
L’odore mi sorprende, come sempre. Prendo la tazza della Garda (sì: ho una tazza della An Garda Síochána…), la sciacquo. Mi taglio tre fette di pane e prendo la marmellata d’arance e il burro. Lei mi ha comprato la marmellata d’arance che preferisco, ma l’altra non è ancora finita, uso quella già aperta. Ma lei mi ha comparato la marmellata che preferisco…
Dalla gabbia di metallo il tè si impadronisce dell’acqua mentre stendo il burro e la marmellata. Tolkien. Bilbo. Il tè. Roddy.
Fuori ovviamente è buio. Ovviamente: è notte… Al di là delle tende immagino un’altra vita. E d’inverno è più facile: questo luogo che odio, d’inverno, è più sopportabile. Tutto merito della notte che scende prima. E ogni volta devo soppesare la possibilità che Casa, là fuori, possa non esserci mai. Che si resti intrappolati fino alla fine in questo luogo che non ci appartiene.
Il tè è perfetto. E la marmellata non è male, anche se non è la mia preferita. Lei tornerà, dopo. E domani continueremo a tirare nello stagno tutti i sassi che possiamo, a bussare a tutte le porte che incontriamo, a imparare le parole che ci serviranno, un passo dopo l’altro verso Casa.

About maxorover

Ebbene sì. Max O'Rover parla anche Italiano. E in Italiano scrive. Un Irlandese con la geografia contro, ecco chi è Max O'Rover. Il falso vero nome (quindi vero o falso?) di Max O'Rover è, ovviamente, in Irlandese: Mach uí Rómhar. "Rómhar" è il ventre, ma anche il ventre della terra, quello in cui crescono i semi, in cui nascono gli alberi. Mica male per essere uno che non esiste, avere un cognome così evocativo. Prima o poi la scriverò, la vera falsa storia degli uí Rómhar. La storia del perché ci hanno cacciato via. Una storia fatta di boschi sacri che non abbiamo difeso, di maledizioni scagliate contro di noi da Boann. Un pugno di druidi falliti costretti a scendere a sud. Fino a che la maledizione sarà spezzata. Fino a quando potremo tornare. Quando sono in pausa pranzo, ogni giorno, mangio una mela. Non getto mai i semi della mela nella spazzatura. Li getto nel prato. Perché sotto sotto ci credo, alla maledizione. Mi ricordo la maledizione. Ma non ricordo quanti alberi devo far crescere: dieci? Mille? Un milione? Intanto continuo a gettare i semi nel prato, e ad aspettare il ritorno a casa.

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