Sangue. Sangue, e ancora sangue: i miti celtici talvolta non hanno niente da “invidiare” ai film d’azione più violenti. Non c’è da stupirsi, visto che sono l’espressione di una cultura votata al combattimento.
Guerra in Irlanda
Cominciamo citando ancora una volta Cú Chulainn, il guerriero celta per eccellenza:
Quanti granelli di sabbia nel mare
stelle nel cielo
gocce di rugiada a maggio
fiocchi di neve
chicchi di grandine
foglie nella foresta…
… tante le teste spaccate
i crani spaccati
le mani mozzate
i piedi mozzati
e le rosse ossa fatte a pezzi
dopo che Cu Chulainn li ebbe dispersi
per la Piana di Muirthermne
Da La morte di Cú Chulainn, in I Miti Celtici, di T.W. Rolleston, Ed. Longanesi & C.
Anche le citazioni successive sono estratte da questo stesso libro.
Tanta parte del materiale mitologico arrivato ai giorni nostri attraverso il lavoro (e la reinterpretazione) dei monaci medievali ha a che vedere con la guerra e il combattimento.
L’elemento che più caratterizza il modo di combattere dei Celti è il carro da guerra: dal carro guidato dall’auriga il combattente lanciava giavellotti, per poi scendere, mentre l’auriga si teneva in disparte, e combattere con spade che potevano essere talvolta lunghe quanto i giavellotti.
Il carro stesso era una formidabile arma, soprattutto se dotato di ruote falcate, che mietevano vittime tra le fila degli avversari.
Io non uccido né aurighi né messaggeri né uomini disarmati. Ma corri, di’ a Orlam, il tuo padrone, che Cú Chulainn sta per fargli visita.
Una speciale arma da lancio era il Gae Bolg, una sorta di giavellotto dalla punta rostrata in grado di infliggere ferite estremamente dolorose.
Le armature erano raramente utilizzate, se si escludono giubbe di cuoio, talvolta rinforzate con metallo oppure ossa e legno.
Gli scudi erano generalmente di taglia medio grande, rettangolari con gli angoli arrotondati; costruiti in legno, venivano rivestiti di cuoio e la zona centrale era rinforzata dal metallo. Lo “scudo bordato” permetteva di infliggere danni ulteriori al nemico.
Pressoché tutti i guerrieri utilizzavano l’elmo, spesso estremamente elaborato nel caso dei Capi.
L’arma principale era una spada lunga, più raramente si utilizzavano asce o daghe. Altra arma fondamentale era il giavellotto, da lancio o per il combattimento ravvicinato. L’altra arma da lancio era la fionda, rarissimo l’arco.
Vengo dalla battaglia e dal conflitto
Con uno scudo in mano;
e l’elmo spezzato dalle lance.
Clave enormi sono l’arma che i miti assegnano in genere alle creature gigantesche. Come già accennato, i Celti non furono mai una nazione unita, la divisione in molteplici domini di re locali che tentavano di prevalere sui vicini fu sempre il principale motivo di scontro.
Le armi più singolari sono il cosiddetto dardo da ventre, una sorta di mini – giavellotto, e il tathlum, il proiettile per la fionda creato tra l’altro con il cervello dei nemici uccisi (secondo un processo antropologico per cui le spoglie del nemico morto conferiscono potere in battaglia).
Ho trovato mio figlio che giaceva
Appoggiato sul gomito sinistro, con lo scudo a fianco;
la mano destra stringeva la spada,
il sangue usciva a fiotti dalla cotta.
I protagonisti delle battaglie raccontate nell’epica celtica sono i popoli “invasori”, come li definisce il Lebor Gabála Érenn di cui abbiamo già parlato.
Ricordiamoli anche in questo post, proprio rispetto al modo in cui ne vengono narrate le gesta guerriere.
I Fomori
Dalle nebbie del mare che porta al Nulla (quel nulla che invece nasconde l’America…) arrivano i Fomori. Sono i guerrieri più forti e spietati. Sono amici del fulmine e del tuono e le loro ondate di spade e lance e scudi, come i marosi del mare, possono travolgere anche la più strenua difesa.
Appaiono come dal nulla in grandi schiere urlanti e combattono, fino alla vittoria o alla morte, senza alcuna pietà.
Nell’apparato descrittivo dei Fomori si sovrappongono due grandi paure ancestrali: quella del pirata che arriva a depredare l’isola (i Pitti avevano cominciato ben prima dei Vichinghi…) e quella del mare stesso, o meglio ancora della tempesta, della furia degli elementi.
Il più famoso tra i Fomori è Balor: aveva il potere di uccidere i nemici semplicemente con uno sguardo, ma alla seconda battaglia di Moytura era talmente vecchio che altri Fomori dovevano aiutarlo a tenere aperta la palpebra dell’occhio mortale. Lugh lo ucciderà proprio conficcandogli una pietra nell’occhio.
Giuro su Dio ciò che giurano le grandi tribù dell’Ulster: colui che esce vivo da una battaglia e lascia il suo signore morto ai nemici è un codardo.
I Tuatha de Danann
Il popolo del Sole affronta la battaglia con la gioia primitiva e l’ebbrezza di coloro che sono vicini agli Dei. Guerrieri micidiali, i Tuatha sono maestri nelle arti druidiche tanto quanto sono valorosi e coraggiosi con le armi in pugno.
Con il sorriso sulle labbra ed esultanza omicida nel cuore, veloci come i venti dell’Oceano attraversano le fila avversarie seminando morte e distruzione.
Tra i popoli delle Invasioni quello dei Tuatha de Danann è il più caratterizzato dalla componente divina e druidica. Anche per queste ragioni alimenterà storie e leggende per secoli. La spada magica di Lugh, Fragarach, che distrugge qualsiasi protezione del nemico, precorre la Excalibur di Re Artù.
Dagdha è uno dei personaggi del mito in cui la figura del Re e del Dio si confondono: padre e capo dei Tuatha, è forte e sapiente, ma caratterizzato talvolta in modo grottesco: è così vorace da inghiottire anche pietre e sassi raschiandoli da un’enorme scodella di porridge scavata per terra!
Dagdha esercita la magia tramite la musica della sua arpa (ed eccolo già uno dei simboli dell’Irlanda…): può influenzare alleati e nemici grazie alle tre melodie del pianto, del riso e del sonno.
I Milesi
Il Popolo Nuovo, le genti che sanno combattere con gli Dei.
I padri di un nuovo modo di vivere e di combattere, gli eroici guerrieri che segneranno le saghe e saranno, con il loro senso dell’onore e la capacità di compiere imprese di alto valore, uno dei modelli dell’epica dello stesso Artù.
La massima espressione della nobiltà marziale dei Milesi è espressa dal Fiann, il gruppo di guerrieri senza macchia e senza paura che precorre nelle leggende i cavalieri della Tavola Rotonda.
A capo del Fiann, Fionn Mac Cumhail. Fionn è il paradigma del guerriero perfetto, coraggioso e fedele, ed è il protagonista del Ciclo Ossianico, che si concluse, e con esso la letteratura gaelica, con la pubblicazione nel 1750 del Lay of Oisín in the Land of Youth di Michael Comyn.
Tra le sue innumerevoli imprese, Fionn protegge Tara da un Goblin, uno spirito malvagio.
Il mito non parla della morte di Fionn: egli giacerebbe addormentato da un incantesimo, con i suoi migliori guerrieri del Fiann, in una grotta incantata, da cui si risveglieranno per liberare l’Irlanda dai suoi nemici.
Ecco le cose care a Finn:
lo strepito della battaglia, l’allegria del banchetto,
l’abbaiare dei cani per l’aspra gola,
e il merlo che canta a Letter Lee,
il rumore della ghiaia sulla riva
quando le navi da guerra eran spinte in mare,
il fischio del vento tra le lance, all’alba,
e il magico canto dei suoi tre menestrelli.
I Fir Bolg
I più antichi figli della Terra nascondono dietro le loro facce enigmatiche e selvagge arcani poteri.
Prediletti della Madre, sanno trasformare la Natura che li circonda in un alleato terribile, in grado di rovesciare le sorti di qualsiasi scontro.
L’eroe per eccellenza dei Fir Bolg è Sreng: Sreng fu l’ambasciatore dei Fir Bolg presso i Tuatha quando essi raggiunsero l’Irlanda, e il loro più accanito oppositore: fu lui ad amputare in battaglia il braccio a re Bres.
Quando ormai la battaglia era perduta ed il re Nuada offrì ai Fir Bolg la pace, Sreng accettò, ottenendo per il suo popolo il Connacht.
L’auriga conduce i cavalli
Il guerriero protegge i deboli
Il saggio dà consigli
L’uomo compie imprese vili
E le donne piangono.
Vai alla battaglia
Non accogliere pietà
Ché non ti viene a soccorso.
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