Continuiamo a lavorare sul rapporto tra Beckett e Martin McDonagh affrontando uno dei temi più spinosi.
Il peccato originale è vivere, secondo Samuel Beckett. Per questo dalle sue opere traspare il suo odio per i bambini, cristallizzato nella celebre frase di All That Fall:
Did you ever wish to kill a child? … Nip some young doom in the bud.
Nelle sue opere McDonagh affronta ripetutamente lo stesso tema, ma con un approccio ben diverso.
Dalla Misopedia di Beckett
Un interessante saggio sulla misopedia di Beckett è disponibile online: Paul Stewart, Samuel Beckett’s Misopedia.
Samuel Beckett All That FallLa tesi del saggio è che l’odio per i bambini che Beckett propaga attraverso i suoi personaggi è un elemento dell’etica e dell’estetica beckettiane.
Una posizione filosofica da un lato e personale dall’altro, nella misura in cui il tanto odiato bambino è, in ultima analisi, Beckett stesso, osservato attraverso il cannocchiale del tempo dal Beckett adulto che, in quanto adulto, ha conosciuto ed esperito il peso della vita: sa il male di vivere e odia il bambino che era non in quanto tale, ma in quanto da un lato lo invidia per non avere, del male di vivere, ancora preso coscienza; dall’altro per non avere altra scelta che abbracciare quel male che è la vita stessa (il paradosso espresso in un’altra celeberrima frase di Beckett: I can’t go on, I’ll go on).
Il fatto che Beckett sia vissuto ottantatre anni dà al tutto il sapore di una, veramente beckettiana, beffa…
A prima vista in McDonagh i bambini, i figli, non sembrano avere migliore sorte che in Beckett: la figlia di Hans e Myra, violentata e uccisa nel più recente Sette Psicopatici, il little boy di In Bruges. Ma è in The Pillowman che la situazione precipita.
Alla Empatia di Martin McDonagh
Il protagonista dell’opera, Katurian, è stato un bambino abusato (a partire dall’affibbigliargli il nome: si chiama Katurian K. Katurian. e “K.” sta per Katurian…) e, diventato scrittore, non fa altro che scrivere di bambini abusati.

Ecco che cosa dice Ariel, uno dei due poliziotti che interrogano, delle storie di Katurian:
‘A few’. I’ll say a fucking few. The first fucking twenty we picked up was ‘a little girl is fucked over in this way, or a little boy is fucked over in this way…’!
Ed è così, almeno a prima vista: da The Tale of the Town on the River (pur con un elemento, già in questo caso, di motivazione benigna a quanto accade al bambino) a The Little Apple Men, dall’autobiografico (dal punto di vista di Katurian) The Writer and the Writer’s Brother fino a The Little Jesus, sembra non esserci speranza, neanche in Martin McDonagh.
Nondimeno, differenze tra Beckett e McDonagh ci sono, e finiscono per essere sostanziali.
In McDonagh la nota della speranza (una speranza cristiana?) rimane. McDonagh non guarda i bambini con gli occhi dell’odio. La speranza viene nascosta (in maniera magistrale, tra l’altro, proprio in The Pillowman) ma c’è.
Ciò che cambia è l’atteggiamento dell’autore rispetto al futuro, un futuro che, appunto, è ed ha speranza. Non è un caso che, nonostante la tristezza assoluta del Pillowman come personaggio (e come funzione) sia mitigata da quello che, in fondo, è un lieto fine dell’opera.
Come McDonagh afferma in un’altra opera, la vita stessa (contrapposta all’opzione del suicidio, in The Lonesome West) ha in sé il germe della speranza.
Se, come ci sembra, c’è un rapporto stretto tra l’opere di McDonagh e quella di Beckett, forse l’invito, il comando di Ken a Ray in In Bruges: Save The Next Boy è il modo in cui McDonagh risponde al nichilismo Schopenhaueriano di Beckett con una seconda chance di natura cristiana.
Dove Beckett pone a parametro il rigore assoluto, anche – e soprattutto! – verso sé stessi, Martin McDonagh si affida alla capacità di avvicinare empaticamente l’altro, il bambino con cui condividiamo il male di vivere
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