michele marziani - la figlia del partigiano o' connor

La Figlia del Partigiano O’Connor: Italish Intervista Michele Marziani

È in uscita per Edizioni Clichy La Figlia del Partigiano O’Connor, il più recente libro di Michele Marziani. E La Figlia del Partigiano… si presenta con trama e ambientazione decisamente “Italish”: non potevamo non parlarne!

Italish – Appena si apre il libro troviamo addirittura una dedica a Christy Moore, vero e proprio monumento della musica irlandese, che ti ha fatto scoprire la storia – vera – a cui poi ti sei ispirato per il libro. Vuoi dirci qualcosa di più in proposito?

MM – Nel 2011 per la prima volta ho passato l’intera estate in Irlanda con l’intento di imparare l’inglese.

Non ho raggiunto l’intento (parlo malissimo, non capisco nulla, mi salva solo la scrittura) ma una sera ho visto in televisione un programma dedicato a Christy Moore dove si parlava della canzone “Viva la quinta brigada”.

È stata un’illuminazione: l’idea del mio romanzo ha preso forma da lì.

Così ho contattato Christy Moore, gli ho parlato del progetto e gli ho chiesto persino il permesso di intitolare il mio libro come la sua canzone. Poi nel tempo sia l’editore, sia io abbiamo optato per il titolo attuale. Christy Moore è stato molto contento del lavoro che intendevo fare e mi ha risposto:

Michele Marziani - la figlia del partigiano o'connor - clichy

La Figlia del Partigiano O’Connor, di Michele Marziani. Clichy, 2017.

“Dear Michele… I am happy to hear from you… please use the song in any way you wish… it is important that we remember our brothers and sisters who went to Spain to fight Fascism… Adelante…”

Io l’ho presa come una benedizione e sono andato avanti. Senza Christy Moore non avrei mai incontrato la vicenda che è nel cuore del libro.

Italish – Il libro è scorrevole, avvincente: ma oltre a questo presenta anche un rigore storico non indifferente. Quanto tempo ti ha richiesto documentarti sulla vicenda storica alla base del libro? Quali sono state le tue fonti? Quali sono stati gli accorgimenti e gli espedienti per fondere, nel libro, narrazione e fatti?

MM – C’è stato un grande lavoro di ricerca durato anni: in Irlanda, in Spagna dove sono andato appositamente, nell’isola di Ventotene.

È la somma di chiacchierate con testimoni, fonti d’archivio, documenti d’epoca. La storia che racconto è totalmente inventata ma non ho fatto altro che aggiungere un personaggio, Malachy O’Connor, il “partigiano”, dentro a vicende realmente accadute. Per esempio è esistita davvero una barca carica di anarchici spagnoli fermati di fronte a Barcellona e portati a Napoli davanti a un tribunale che li ha condannati al confino in Italia.

A bordo ci ho messo solo una persona in più, quella nata dalla mia fantasia. Non credo ci siano espedienti narrativi. Si tratta solo di vivere e raccontare una vicenda che sta dentro a un periodo storico preciso. È come vedere i grandi eventi da un singolo punto di vista, è molto affascinate per un narratore.

Italish – Una domanda dedicata a Pablita, il personaggio principale: una donna che, dopo aver passato gran parte della sua vita in un unico luogo, riscopre quella necessità del viaggio – tratto tutto irlandese – fisico e interiore al tempo stesso, che in poco tempo, ormai anziana, la porta letteralmente in giro per l’Europa, da Ventotene a Barcellona, all’Irlanda. Forse Pablita ha nel suo DNA irlandese la necessità del viaggio, di essere una “rover” per le strade d’Europa in cerca della verità su suo padre?

MM – Pablita, che non si è quasi mai mossa per 65 anni dal paese dove è nata, sui monti del Piemonte orientale, improvvisamente trova il coraggio, l’incoscienza, il desiderio e parte per questo grande viaggio a ritroso sulle orme del padre.

All’inizio è una specie di vacanza, poi le cose si complicano ma lei prosegue comunque con una caparbietà tutta irlandese. Decide di fare questo viaggio per diversi motivi, alcuni dei quali si scoprono nel corso della narrazione.

Sicuramente c’è un richiamo del sangue, delle radici, che diventa molto forte quando Pablita arriva in Irlanda e punta verso Ovest, verso il Connemara, dove era nato suo padre.

Italish – Non si ambienta un libro dalle parti di Roundstone, Connemara, così a caso… Vuoi dirci qualcosa delle tue personali frequentazioni irlandesi, letterarie e non?

MM – Il Connemara nasce da una fascinazione non letteraria.

Ci sono arrivato, sempre nel 2011, in uno di quei rarissimi periodi dove il tempo è stato splendido per tre giorni interi. E c’era qualcosa di colto e selvaggio insieme in quei paesaggi che sono non solo lo scenario ma l’ossatura della seconda parte del libro. Poi sono arrivati gli scrittori irlandesi. Fino a quel periodo avevo letto e amato praticamente solo Joyce, Beckett e Wilde, innamorandomi tantissimo soprattutto di Joyce.

Erano gli anni in cui Gianni Celati stava ritraducendo l’Ulisse. Non so perché ma mi capitava di incontrare persone che incrociavano questo lavoro e la traduzione infedele di Celati era la cartina di tornasole di un nuovo modo di sentire i rapporti tra lingue e letterature. So che c’entra poco, ma io l’ho avvertito forte mentre lavoravo a questo romanzo. Nella frequentazione con l’Irlanda ho incontrato poi altri scrittori che forse in qualche modo sono entrati in connessione con questo lavoro, penso soprattutto a William Trevor, ma l’idea di Irlanda sulla quale ho ricostruito i passaggi di un’epoca, non sembri irriverente, è quella di Frank McCourt ne Le ceneri di Angela.

Poi c’è la pesca: io sono un pescatore e come tale un frequentatore direi obbligato del Connemara e del Mayo. Per amore, infine, sono spesso a Dublino. Queste sono le mie Irlande, casuali ma non per caso, come le storie che metto insieme.

Italish – Una domanda che alla fine è “la” domanda su cui si basa tutto il lavoro svolto da ItalishMagazine nei suoi ormai otto anni di vita: tra letteratura e musica, perché ci sono così tante connessioni tra Italia e Irlanda? Come e perché questi due Paesi, così simili e così diversi, sembrano rispecchiarsi l’uno nell’altro?

MM – Non lo so perché.

La prima cosa che mi viene in mente è perché non sono due popoli tristi e neppure troppo disciplinati, propensi piuttosto ad arrangiarsi, a cavarsela, il più spesso possibile a tarallucci e vino (o Guinness, of course).

Non sempre è una buona cosa, ma rende il mondo un po’ più leggero. Certo questo a una prima lettura. Ma qualunque sia il motivo è innegabile che l’attrazione sia forte, un tempo credevo solo da parte degli italiani che un po’ mitizzavano l’Irlanda, poi ho capito che invece è reciproca.

Italish – Tra Spagna e Italia dall’Irlanda, lottando per ideali di uguaglianza e giustizia. È la storia del partigiano O’Connor ed è una storia europea, non solo per ambientazione ma anche, almeno secondo noi, per vocazione e valori. Vuoi dirci qualcosa in proposito?

MM – Basterebbe dire che questa storia passa dall’isola di Ventotene dove l’Europa è stata pensata e che non ci passa per caso.

Credo che la stagione del Novecento dove le persone normali – non solo i ricchi e i nobili, per quanto illuminati – hanno potuto andare, partire, per difendere un ideale, per sostenere un’utopia, sia stata una grande stagione per l’Europa e per la libertà di pensiero.

La guerra civile spagnola, la difesa della Repubblica contro il generale Franco sostenuto dall’Italia fascista e dalla Germania nazista ha visto il mobilitarsi di persone di ogni fede e nazione a difesa di un’idea di democrazia e di giustizia.

Mi ha molto colpito che nelle Brigate internazionali siano arrivati tanti giovani anche dall’Irlanda, paese poverissimo, ai margini della politica mondiale, ancora nel mezzo del braccio di ferro per l’indipendenza dall’Inghilterra.

Ne avevano di problemi in casa da risolvere, eppure sono partiti. Ecco, questa cosa mi ha commosso. Ma non volevo raccontare questa storia, ma come le vicende storiche e quelle personali si intreccino e ogni cosa abbia valore davvero solo nel momento in cui accade.

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