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Mi sono sempre piaciute le mappe. Ricordo il mappamondo di quando ero piccolo e il fatto che, quando si ruppe, cercai di riutilizzare i pezzi per giocarci. Ricordo di aver avvicinato Sud America e Africa per comprovare la deriva dei continenti. Ricordo un vecchio atlante su cui muovevo i carrarmati del Risiko. Da lì, in qualche modo, sono arrivate sulle Isole Aran.Ricordo quanto sembrasse solida l’Unione Sovietica, su quell’atlante: grande, e solida.
E in fondo uno dei motivi per cui sono arrivato in Irlanda ha comunque a che fare con quel vecchio vizio di giocare con le mappe, con il desiderio costante di essere, comunque, altrove. Mi ritrovo così invischiato a giocare con una lingua che non conosco (diciamoci la verità) su un territorio che però conosco perfettamente perché libro dopo libro, foto dopo foto, mi è entrato dentro. La mappa impone di conoscere il territorio per raccontarne le storie, le storie di vacche gettate dalla scogliera per vendetta, di tabacco nascosto dai contrabbandieri, di gatti cavalcati dalle Fate sul pianoro orientale. Le storie delle Isole non sono ancora morte.
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