Los Angeles, Connemara: una non recensione di 7 Psicopatici

Martin McDonagh è nato a Londra. 7 Psicopatici è girato negli Stati Uniti, con un bel mucchio di attori americani, qualcuno americano al cubo. E allora perché, ancora una volta, Martin McDonagh è su Italish anche con il meno irlandese dei suoi film?

Perché Martin McDonagh è un autore irlandese.
Talvolta, probabilmente, lo è anche suo malgrado, ma di certo Martin non rinnega le sue origini e l’importanza delle sue origini rispetto all’essere divenuto lo scrittore (sia di teatro sia di cinema) che è se, in una intervista rilasciata all’Irish Times proprio per la prima dublinese di 7 Psicopatici dichiarava:

I think writing the Irish plays was the first time I felt properly free. Until then, they were like imitations of Pinter or Mamet.

Brendan Gleeson prete per l'altro McDonagh: John MichaelUn atteggiamento più onesto, forse, più maturo, di quello che lo aveva fatto pronunciare sulla scarsa irlandesità di In Bruges, per il quale era stata solo la scelta dei due attori dublinesi, Brendan Gleeson (ci sarebbe piaciuto vederlo nei panni di Charlie – Woody Harrelson, invece -: ah, se 7 Psicopatici fosse stato ambientato a Boston e intanto Gleeson non avesse avuto da fare a Sligo con l’altro McDonagh!) e ancora Colin Farrell a “irlandesizzare” il film, e questo aveva comportato, dichiarava Martin, di cambiare nella sceneggiatura al massimo una dozzina di parole.

Noi avevamo cercato di smascherare il buon Martin inchiodandolo In Bruges insieme con i due Grandi Vecchi della letteratura irlandese.
Eravamo quindi molto curiosi di vedere che cosa sarebbe successo a McDonagh ora che, dopo essersi allontanato dall’Irlanda nelle sue opere teatrali (The Pillowman ambientato in un fantomatico stato totalitario, A Behanding In Spokane, in cui avevano recitato proprio Sam Rockwell e Christopher Walken, ambientato in America) approdava addirittura nell’assolata California…

Anche in 7 Psicopatici, però, l’Irlanda, o meglio, la versione stereotipata dell’Irlandese, si mostra immediatamente, con un’autoironia che si eleva al quadrato perché Colin Farrell, che nel film si chiama infatti Martin, non è altri che McDonagh stesso, protagonista di un proverbiale blocco dello scrittore proprio mentre scrive la sceneggiatura del soggetto 7 Psicopatici e dalle bottiglie scolate da bravo stereotipo di alcolizzato irlandese (ce l’avete nel DNA, dice il razzista Billy – Sam Rockwell a Marty) non esce nessuna buona idea. E, soprattutto, ritroviamo tutti i temi che fanno l’opera di McDonagh.

Christopher Walken, Hans, 7 Psicopatici

Posto il contesto della metanarrazione, McDonagh ci parla dell’androcentrismo del mercato della narrazione stessa (in un film si può uccidere una donna ma non un animale ci racconta Billy, il personaggio che, in quanto vero psicopatico, può dire anche le verità più spiacevoli e inconfessabili, come il Fool di Re Lear), androcentrismo che aveva scardinato con The Beauty Queen of Leenane.
Ci parla, mettendo in scena due rapitori di cani (cani che, come dicevamo, non possono essere uccisi), di ecocritica della narrazione, ponendo l’accento sul rapporto tra uomo e animali e contemporaneamente mettendoci in guardia dalle conseguenze che l’aberrazione del rispetto per gli animali può avere (ricordandoci il massacro generato dall’eccessivo “amore” per due gatti in The Lieutenant of inishmore).
Ci parla del problema del rapporto tra narrazione e violenza perché, se è vero che per temi e visionarietà McDonagh viene spesso avvicinato a Tarantino, è altrettanto vero che  l’approccio dell’Irlandese è lontanissimo dall’abbandonare il tentativo di dettare, a noi attraverso i suoi personaggi, un codice morale. E se nelle sue opere precedenti la narrazione del codice si fermava all’atto della punizione della malvagità (il suicidio sacrificale di padre Welsh/Walsh in The Lonesome West, quello di Harry in In Bruges, la giusta morte di Kid in Six Shooters), questa volta McDonagh va oltre con il personaggio di Hans (interpretato magistralmente da Walken), prima letteralmente sopravvissuto al suicidio, ancora una volta, sacrificale, poi depositario di una storia (quella del vietnamita) in cui viene imposto a noi spettatori di giudicare che cosa è bene e che cosa è male tra non violenza e autodistruzione e che, proprio a causa di quella storia, troverà comunque una morte, questa volta, ingiusta, in un deserto che è l’estrema propaggine di quel vuoto denso che riempiva l’ovest solitario del Connemara…

Tom Waits, Zachariah, 7 Psicopatici

I fatti e i racconti dei fatti, e non importa che siano veri o falsi, ci passano davanti agli occhi e McDonagh, con la telefonata dopo i titoli di coda che è un vero e proprio colpo di genio, non fa altro che chiederci di non dimenticare.

 

About QRob

Massimiliano "Q-ROB" Roveri writes on and about Internet since 1997. A philosopher lent to the IT world blogs, shares (and teaches how to blog and share) between Ireland and Italy.

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