Dall’Italia alle startup dublinesi e… Alla vita “di paese” a Wicklow: l’Irlanda di Diego Zanella.
1 – Quando sei arrivato in Irlanda e perché?
Sono arrivato in Irlanda nel 2007, per lavoro. Ero stufo dello stress causato dal mio lavoro in Italia e ho voluto fare un tentativo all’estero.
2 – Quale è stato il tuo primo lavoro / la tua prima attività e che cosa stai facendo adesso?
Ho lavorato nel supporto tecnico (ramo IT) per HP/Microsoft. Fu una sfida non indifferente, poiché mi misero nel team tedesco (ovvero a parlare con clienti che esigevano di parlare con madrelingua tedeschi, cosa che non sono mai stato), ma è stata un’ottima esperienza, che mi ha dato modo di lavorare con persone di tutta Europa. Attualmente, le mie attività sono tre. Sono un papà (ruolo che considero di primaria importanza), sono uno dei fondatori di una startup (ThankFrank.com) e svolgo anche attività di sviluppo software e consulenza, in proprio.
3 – Quale è stata la tua prima città irlandese e dove vivi adesso?
Ho vissuto a Dublino per un anno, poi mi sono spostato in campagna, nella bellissima contea di Wicklow, dalla quale non mi sono più mosso. Le mie radici contadine sono più che vive… :-)
4 – Quali sono le tre cose che ami di più, e le tre che odi di più, dell’Irlanda?
Premessa: quando mi trasferii in Irlanda, non lo feci come sognatore. Non avevo mai visto l’isola prima, nè sapevo nulla di essa, della sua storia e della sua popolazione. Possiamo quindi dire che la mia esperienza non è stata alterata da “occhiali rosa”, o di altri colori.
Tra le cose che amo di più di questo Paese ci sono la semplicità delle regole e del sistema in generale, l’atteggiamento generalmente ottimista e positivo della popolazione (come dicono gli Irlandesi, “it will be grand”), radicalmente diverso dalla negatività con cui avevo a che fare ogni giorno in Italia, e, ultimo, ma non per importanza, il clima, alla faccia di quelli che “in Irlanda fa sempre brutto”: io ho sempre avuto difficoltà con la torrida estate e il gelido inverno delle mie parti, mentre qui il clima è più mite. Non si cuoce mai, non si gela (quasi) mai e, con un po’ di buona volontà e spirito di adattamento, anche una pioggerella leggera rende la passeggiata piacevole.
Tra le cose meno piacevoli annovero alcune delle regole e delle leggi irlandesi, che per me hanno poco senso. Questo è dovuto al fatto che il Paese utilizza il “common law”, il quale differisce, talvolta in modo radicale, dal “civil law” usato nel continente. Un’altra cosa fastidiosa è la concentrazione dei servizi in pochi, grandi centri abitati (Dublino, Belfast, Cork, Limerick, Galway), mentre in alcune zone dell’entroterra e dell’ovest non c’è molto. Bellissimi paesaggi naturali, ma poco altro.
5 – Quali sono le tre cose che ami di più, e le tre che odi di più, degli Irlandesi?
Direi che ho risposto, in parte, al punto precedente, ma posso fare un riassunto.
Lati positivi degli irlandesi: amichevoli, ottimisti. Una volta rotto il ghiacchio, disponibili (noi Italiani siamo pure sempre immigrati in terra straniera).
Lati negativi degli irlandesi: l’abitudine di bere troppo. Alcuni tendono ad essere pigri. Talvolta, l’ottimismo passa dal “diamoci da fare e andrà tutto bene” al “non facciamo niente, ci penserà qualcun altro e andrà tutto bene”. Occasionalmente ho avuto a che fare con chiusura mentale e forte resistenza al cambiamento, specie tra quelli meno giovani (vivendo in paesi piccoli, questo può accadere più spesso che non nelle grandi città).
6 – Hai nostalgia dell’Italia? Se sì, come la gestisci?
In breve: no. Casa mia è qui, la mia famiglia pure.
7 – Che cosa suggerisci a chi vuole o deve trasferirsi in Irlanda, dal punto di vista del lavoro e dal punto di vista personale?
La lista dei consigli potrebbe essere lunga. Di seguito riporto alcune regole chiave che, a mio parere, aiutano ad integrarsi e a vivere una buona esperienza all’estero. Possono sembrare regole dure, ma si tratta pur sempre di un cambiamento radicale, che non può avvenire mentre si dorme avvolti nella proverbiale bambagia:
Tenere sempre presente che si sta lasciando l’Italia e ricordarsi i motivi della scelta. Guardarsi indietro continuamente, pensando “ma in Italia…” è una pessima idea, serve solo a diventare negativi. Tornare in Italia in vacanza va benissimo, ma il Paese in cui si vive deve essere “casa”, altrimenti si è solamente pendolari a lunga distanza.
Darsi da fare, senza scoraggiarsi. Questo vale sempre e comunque, in qualunque parte del mondo. Imparare a contare sulle proprie forze, anziché sperare che qualcuno ci tolga le castagne dal fuoco, è vitale.
Non esiste, nè è mai esistito, un “diritto al posto di lavoro”. Per trovare e mantenere un impiego bisogna dimostrare quanto si vale e imparare a mettersi nei panni del potenziale datore di lavoro. È importantissimo chiedersi “io assumerei me stesso, al posto di un Irlandese?” e rispondere onestamente. Quando ci si trova a rispondersi “no”, è il momento di capire il perché e colmare eventuali lacune. Non c’è un sistema “cattivo” che non ci vuole, ma un sistema selettivo, che (solitamente) premia i migliori. Come ho scritto prima, siamo immigrati in terra straniera e la concorrenza è forte. Non basta pensare di essere i migliori; se ciò è vero, bisogna dimostrarlo.
Per migliorare l’Inglese e integrarsi, evitare di frequentare troppo spesso italiani. Non che i connazionali siano cattivi, ma, quando si arriva, l’obiettivo deve essere quello di diventare parte della realtà locale. Va benissimo avere amici italiani, ma, se si cercano sempre e solo loro, si finisce col vivere in un “mondo parallelo”, una succursale dell’Italia, il che non aiuta a stabilirsi.
Importantissimo: non cercare di fare i furbi. Uno dei lati più positivi del vivere in Irlanda è che il “sistema” si basa sul presupposto dell’onestà da parte dell’individuo. È un sistema semplice e relativamente facile da raggirare, ma questo non significa che farlo renda meritevoli di lodi. Un italiano, anni fa, mi disse (orgoglioso) che “il suo macellaio sotto casa avrebbe potuto fregare tutti, in Irlanda, perché sono tutti ingenui”. Questo è esattamente l’atteggiamento da evitare. I furbi lasciamoli dove stanno.
Hanno già rovinato il nostro Paese, qui non servono. Una nota: ho collaborato per un po’ con un gruppo Facebook in cui ho dato una mano a molti italiani, che mi hanno ringraziato per i consigli che ho riportato. Ironicamente, molti altri hanno trovato i miei consigli “demotivanti”, in quanto troppo vicini alla realtà dei fatti, anziché essere pieni di incoraggiamenti e speranze. Come dico sempre, io non cerco di motivare, ma di informare. A mio parere, se la descrizione di ciò che troverà basta a demotivare un individuo, è meglio che stia a casa.