11, Emerald Street di Hugh O’Donnell
vanta (?) uno dei più piccoli siti che si siano mai visti.
Robbie è un tipico bambino di una tipica famiglia dublinese (molti figli, pochi soldi, troppa Guinness) che rischia la vita a causa di un brutto incidente per entrare a vedere una partita di hurling al Croke Park.
Quando viene tenuto in ospedale in osservazione, comincia a credere di essere stato destinato da Dio a salvare gli altri bambini, che sono messi molto peggio di lui, e a sistemare tutta una serie di faccende familiari, dalle più tragiche alle più grottesche.
Questo romanzo somiglia un po’ a Paddy Clarke, ma ha una peculiarità stilistica molto interessante: l’autore riesce sempre a lasciare nell’incertezza il rapporto tra protagonista della storia e io narrante, riuscendo a mantenere una ambiguità tra il personaggio e il proprio scrivere molto interessante, visto che è applicata al terreno ‘fantastico’ dei miracoli.
Qua sotto, un pezzetto di Emerald Street che adoro:
<<Visto chi?>><<Dio!>><<Davvero?>><<Sì!>><<Davvero l’hai visto?>>.Lo tenevo per le palle adesso. <<Era…>>, mi sdraiai e chiusi gli occhi.<<Era… non era come lo raffigurano, con la barba e il resto. E mi ha anche parlato di tutti quelli che sbagliano, dei peccatori>>.<<Ma la voce era da vecchio?>><<No, te l’ho detto. Non era vecchio. Però in un certo senso sì, era vecchio, e… ah l’ultima cosa me l’ha detta in Latino. Ab Tomas pecatus penus>>.<<E che vuol dire?>>, bisbigliò Tommy.<<Di’ a Tommy di smetterla con le seghe>>.