Due le immagini emblematiche che mi porto via da Cork.
La prima è il grattacielo che si innalza oltre il fiume Lee. Un grattacielo che doveva essere il simbolo stesso della tigre celtica, con i suoi venti-e-passa piani, con i suoi appartamenti da executive con affacci panoramici (in Irlanda basta salire al terzo piano per avere una bella vista, data l’altezza media delle colline).
Una mostruosità da downtown-wanna-be che, già a vederla, è fuori scala rispetto a tutto ciò che la circonda. Sembra che Cork ci possa entrare tutta, in verticale.
Un grattacielo vuoto. Pare che cinque o sei appartamenti su qualche centinaio siano stati venduti, a suo tempo. Ma poi la società costruttrice ha preferito ricomprarseli che pagare la manutenzione di quell’enorme dinosauro di vetro e acciaio pressoché disabitato.
Naturalmente la società è fallita e la banca che ha finanziato l’operazione si è ritrovata a elemosinare una piano di salvataggio dal governo.
La seconda è il Tom Barry’s Pub in Barrack Street, una salita a serpentina che, nonostante l’aspetto dimesso, ospita diversi locali. Perlinato, freccette, lucine colorate, atmosfera fumosa anche se (ho controllato) nessuno fuma. E poi un giardinetto di ghiaia con le panche da cui si vedono bene le guglie di Saint Finbarr’s contro il cielo turchese almeno fino alle dieci e mezzo di sera. Un locale che mi ha riportato a certi avamposti del turismo che sorgevano dalle mie parti in prossimità di spiagge libere e di strade senza sbocco.
Il Tom Barry’s Pub, a differenza del grattacielo, era pieno.