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La Pinta Perfetta (o: fenomenologia del pub irlandese)

La migliore pinta del mondo. Ovvero come Yeats, la luna, the missis, Flann O’Brien, Roscommon e una pinta di Guinness finiscono nello stesso post. Questo post.

La Pinta Perfetta, una pinta d’inchiostro

Qualche mese fa mi è capitato di scrivere su Flann O’Brien.

Un intervento che, pensa te, è finito anche su Radio Tre, in uno speciale dedicato a Bloomsday e agli altri scrittori irlandesi.

Flann O’Brien è forse il più altro, tra quegli altri.

Il mio libro di Flann O’Brien preferito è Il Terzo Poliziotto. Il libro di Flann O’Brien preferito da Roddy Doyle (ha dichiarato in una recente intervista che è il libro non suo che avrebbe voluto scrivere) è Una Pinta d’Inchiostro Irlandese, At Swim Two Birds in originale.

In quel libro i personaggi si ribellano all’autore.

E questo è quanto, non è questione di spoiler.

Siamo quindi nel territorio della metanarrativa: un territorio che a me, che ho scritto un libro su un personaggio che compra un libro che esiste nella vita reale (e, sì, quel libro lo ha scritto Roddy Doyle…), scritto rubando pezzetti di vite esistenti a destra e a manca (compresa la propria, di vite) e utilizzando uno pseudonimo irlandese che ha persino la “O’”, ecco: è un territorio che interessa molto, quello della metanarrativa.

Una pinta, la vita e i libri

Vita e libri per me non è che siano cose diverse.

I libri sono sempre stati una parte importante della mia vita e, certo, da quando ho cominciato a scriverne, di libri, l’importanza è aumentata.

Ma è nei libri e dai libri che trovo le cose che mi servono, le parole che mi servono.

A volte anche la vita che mi serve, a quanto pare.

La vita che mi serviva, abbastanza evidentemente, ormai, era una vita a Dublino.

In questo villaggio vikingo con il nome da Ent, che la sorte (che ci vede benissimo) ha scelto per me.

Ho incontrato, negli ultimi mesi, persone che non vedevo da anni. Mi dicono tutte che ho una luce diversa negli occhi.

Sono anche un po’ più alto, da quando vivo in Irlanda, e…

Ma questa è un’altra storia.

La vita che mi serviva era qui ad aspettarmi. E di questa vita il manuale me lo hanno dato gli scrittori che qui e di qui hanno scritto prima di me.

Soprattutto Roddy Doyle.

Che non abita lontano dal villaggio vikingo con il nome da Ent. Che non abita lontano dalla scuola di frontiera in cui lavorava con un’altra scrittrice che, nel frattempo, ho potuto conoscere, e apprezzare anche per la gargantuesca statura umana.

Non lontano dal Foxhound Inn.

Se vi piace l’Irlanda, se amate l’Irlanda, è molto probabile che questo pub lo conosciate già. Anche senza saperlo: è comparso nella versione cinematografica di The Van / Due Sulla Strada.

Il Van è parcheggiato lì davanti quando Jimmy e Bimbo cominciano a lavorare da chippers durante Italia ’90, e tutto va meravigliosamente bene fino a quando Schillaci

Non ero mai stato al Foxhound Inn.

Ci sono finito a mettere la ciliegina sulla torta di una giornata che era stata bellissima.

Uno degli ultimi giorni di mia moglie qui a Dublino (vivere la vita che ti serve a volte è molto difficile), una giornata di sole, una giornata finita non ancora alle tre, ché il solstizio è ancora lontano, ma con una gran bella luna già alle cinque del pomeriggio.

Io e me missis al Foxhound Inn.

Arriviamo e riconosco il parcheggio.

Poi ci chiediamo se c’è un’entrata principale, del pub.

Perché quella che vediamo sembra una porta sul retro, un’uscita di sicurezza o qualcosa del genere. Ma giriamo attorno all’edificio e altre porte non ce ne sono.

La perfezione comincia probabilmente già da questo.

Del resto in Irlanda le cose sono spesso al contrario, corso dei fiumi compreso (e così ci abbiamo infilato anche Sammy, in questo post).

Da questa porta al contrario, e da quella camera di decompressione tra la vita reale e l’essenza del pub, che puzza di generazioni e generazioni di sigarette fumate , che fuori no perché piove, fuori.

Superiamo la camera di decompressione e siamo .

Siamo in The Van, siamo in The Snapper, siamo in Due Pinte.

Perché dei tipi che si parlano addosso da decenni, quelli a cui Roddy ha rubato il ritmo (il ritmo: è una cosa bellissima quando cominci a notarlo: pinta A parte piano. Pinta B risponde. Pinta A ribatte, a voce più alta. A questo punto pinta B dice fockòff e pinta C, D, etc. ridono) non ce ne sono solo due, ma cinque, per tacere della signora che, borsa di SuperValu nella mano, entra, si siede al bancone in un posto che è ovviamente il suo e, per non perdere tempo, ordina

una chiara, una Guinness e un Jameson.

E no, non c’è bisogno di dare un nome alle chiare.
E sì, ha ordinato solo per sé.

Intanto, sull’altro bordo della nave (il bancone è come una nave, ricordatevelo), i cinque hanno dodici bicchieri da pinta tra pieni e vuoti e, nel tempo in cui mi gusto la mia, unica, pinta, sciorinano il repertorio completo.

Esce la parola southsider, con quel retrogusto misto di invidia e disprezzo che percepisci (e ormai senti anche un po’ tuo…). Esce – persino! – la parola Roscommon, perché o l’emigrato a o l’immigrato da Culchieland non può mancare.

E poi e soprattutto: risate. Tante, tante risate, sempre su quel ritmo (A, B, A, B, fockòff, risata) perfetto.

Yeats, quel fascista bastardo, come lo definì – e comunque era una sua modesta opinione – un certo Martin di Sligo, ubriaco alle undici di mattina, ha detto:

Qui non ci sono estranei, solo amici che non hai ancora incontrato.

E su questo aveva stramaledettamente ragione.

Perché pinta A, B… la signora da tripletta, il Publican che manovra la nave e le spine, non sono estranei, per me.

Per me e per me missis.

Che viviamo nei libri e a Dublino, indipendentemente da dove la sorte possa mai decidere di farci abitare.

About maxorover

Ebbene sì. Max O'Rover parla anche Italiano. E in Italiano scrive. Un Irlandese con la geografia contro, ecco chi è Max O'Rover. Il falso vero nome (quindi vero o falso?) di Max O'Rover è, ovviamente, in Irlandese: Mach uí Rómhar. "Rómhar" è il ventre, ma anche il ventre della terra, quello in cui crescono i semi, in cui nascono gli alberi. Mica male per essere uno che non esiste, avere un cognome così evocativo. Prima o poi la scriverò, la vera falsa storia degli uí Rómhar. La storia del perché ci hanno cacciato via. Una storia fatta di boschi sacri che non abbiamo difeso, di maledizioni scagliate contro di noi da Boann. Un pugno di druidi falliti costretti a scendere a sud. Fino a che la maledizione sarà spezzata. Fino a quando potremo tornare. Quando sono in pausa pranzo, ogni giorno, mangio una mela. Non getto mai i semi della mela nella spazzatura. Li getto nel prato. Perché sotto sotto ci credo, alla maledizione. Mi ricordo la maledizione. Ma non ricordo quanti alberi devo far crescere: dieci? Mille? Un milione? Intanto continuo a gettare i semi nel prato, e ad aspettare il ritorno a casa.

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