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Il senso dell’Irlanda per i francobolli

Flash Fiction ispirata (d)al 6 Nazioni, pubblicata nel 2018 sul sito – non più online – di antonio Tombolini Editore. Episodio 4.

Entro al GPO. La guida dice che lì Michael Collins ci ha fatto la resistenza. E che Michael Collins non l’hanno ammazzato gli inglesi, ma gli irlandesi.

La guida dice che lì davanti c’era una volta una statua, una statua di Nelson, ma che non c’è più perché è stata fatta saltare per aria. Dagli irlandesi.

La guida dice anche che nel GPO, che sarebbe il General Post Office, c’è anche il museo della filatelia. La guida dice che ci sono un sacco di strani piccoli musei, in giro per Dublino. C’è persino il museo del fisco. Ci sarebbe addirittura (ma questo, davvero, mi pare troppo) il museo dei lampioni.
Lo dice la guida, e adesso anche i miei occhi, che al GPO c’è la statua di un ragazzino che si chiamava Cú Chulainn, che è finito morto ammazzato tanti, tanti anni fa.

Dagli irlandesi.

Il piccolo museo della filatelia è esattamente quello che ti aspetti: piccolo e con i francobolli.

C’è un’anziana signora che, se non fosse per l’uniforme e per il fatto che non è davanti a un camino con uno scoppiettante fuoco di torba, ma nel bel mezzo del piccolo museo della filatelia, sarebbe l’immagine della nonna perfetta.

La signora mi saluta.

Siamo soli, a ben vedere, nel piccolo museo della filatelia, io e l’anziana, apparentemente amabile, signora.

A proposito: io in Irlanda ci sono per i francobolli. Voglio dire: è un Paese in cui non ci sono il vino, l’olio d’oliva e la focaccia. E dove fa sempre vento. E piove sempre. A me sembra la cartolina di un pianeta inospitale.

Per fortuna che c’è internet. Su internet puoi trovare la miglior pizza cotta a legna di Dublino. Così sono due giorni che mangio solo pizza. Il caffè… il caffè non ci ho neanche provato: non scherziamo… È alla pizzeria che ho conosciuto degli ingegneri che, poveretti, devono vivere qui per via di Google (o era Facebook?) e si sentiva la nostalgia. E non si capiva perché si vantino tanto di avere una scogliera e poco più, questi irlandesi, ci si diceva tra di noi. Ci siamo fatti una bella risata e parlavamo liberamente, ad alta voce, perché tanto nella pizzeria irlandesi non ce n’erano.

Parlano strano, da queste parti. Parlano inglese, ma anche no. Non so se lo fanno per confondere noi che dal dolce Dante dobbiamo adattarci.

Perché qui la lingua di Dante la parlano davvero in pochi…

Parla strano anche la signora. Se voglio, mi dice la signora, è lì per darmi informazioni, se voglio. Io sono lì perché mi piacciono i francobolli. Sono venuto a comprare un foglio di francobolli di Che Guevara.

Che a quanto pare Che Guevara era un po’ irlandese. È curiosa questa cosa degli irlandesi, che se hai una nonna irlandese basta e avanza, sei irlandese anche tu.

C’è stato un bel po’ di polemica attorno a questo francobollo. Il francobollo dedicato a un terrorista, ha detto qualcuno.

E eccolo lì, il francobollo, ma in formato poster. E la signora mi racconta di Che Guevara, che era irlandese. O giù di lì.

La signora dice che Che Guevara giocava a rugby. Che era asmatico, ma si teneva l’inalatore a bordo campo e giocava. A rugby. Che ora, ecco, io sono italiano, tifo Juve e guardo solo il calcio.

La Ferrari, ogni tanto.

E la signora con questa cosa del rugby e di Che Guevara mi introduce l’altro francobollo in formato poster. È un francobollo emesso per la coppa del mondo di rugby del 2007, ma, mi dice la signora, l’immagine si riferisce a una partita giocata a Dublino, nel Sei Nazioni, contro l’Inghilterra.
L’immagine è quella di un energumeno sollevato da terra da altri energumeni.

La signora mi dice che normalmente in quello stadio non si gioca a rugby. E, in quello stadio, gli inglesi avevano ucciso degli irlandesi, un secolo fa. Durante una partita. Non di calcio, non di rugby. Una partita di uno sport strano che giocano solo qui.

E la signora, nel raccontarmi questo, e anche se io sono in Irlanda solo per i francobolli, si commuove.

Che strano Paese deve essere questo, che ha solo una scogliera e non ha la pizza, e vecchie nonne postine che si commuovono nei musei…

About maxorover

Ebbene sì. Max O'Rover parla anche Italiano. E in Italiano scrive. Un Irlandese con la geografia contro, ecco chi è Max O'Rover. Il falso vero nome (quindi vero o falso?) di Max O'Rover è, ovviamente, in Irlandese: Mach uí Rómhar. "Rómhar" è il ventre, ma anche il ventre della terra, quello in cui crescono i semi, in cui nascono gli alberi. Mica male per essere uno che non esiste, avere un cognome così evocativo. Prima o poi la scriverò, la vera falsa storia degli uí Rómhar. La storia del perché ci hanno cacciato via. Una storia fatta di boschi sacri che non abbiamo difeso, di maledizioni scagliate contro di noi da Boann. Un pugno di druidi falliti costretti a scendere a sud. Fino a che la maledizione sarà spezzata. Fino a quando potremo tornare. Quando sono in pausa pranzo, ogni giorno, mangio una mela. Non getto mai i semi della mela nella spazzatura. Li getto nel prato. Perché sotto sotto ci credo, alla maledizione. Mi ricordo la maledizione. Ma non ricordo quanti alberi devo far crescere: dieci? Mille? Un milione? Intanto continuo a gettare i semi nel prato, e ad aspettare il ritorno a casa.

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