Forse uno dei problemi di un artista è quello di avere più amici di quelli che conosce, di quelli che sa di avere. Certo, ormai molte cose sono cambiate nel rapporto tra chi sta sul palco e chi sta ad ascoltarlo, a guardarlo: adesso la possibilità di interazione tra i tanti comuni noi e i pochi loro è amplificata dal fatto che sia noi sia loro usiamo lo stesso strumento con cui, per chiunque, è possibile dire dove sei e che cosa stai facendo a tutti gli altri, a tutto il mondo. O almeno, a tutti coloro che nel mondo hanno una connessione internet. In questo modo quello che per te è un amico (anche se forse lui non lo sa) è più vicino, ovviamente. Più accessibile. E, sì: puoi dirgli qualcosa. Fosse anche solo che la città si chiama Siena, e non Sienna. Tu lo dice a lui, e lui ne parla in mezzo al concerto, di Siena, con una ‘n’ sola. E così te lo senti più amico, quello che è sul palco. Questa volta, come ci è capitato spesso negli ultimi tre anni, ‘quello che è sul palco’ è Glen Hansard: il leader di The Frames, il vincitore di un Oscar, il vecchio busker di Dublino, chitarra alla mano da una trentina d’anni (sempre la stessa, sempre più bisognosa di attenzioni). E sentirselo amico viene facile: perché, anche se lui non lo sa, lui è una persona importante, per te, una persona che ha dimostrato qualcosa che è nelle tue stesse corde, una persona che ha fatto della tenacia un credo; una persona, soprattutto, che ti ha dato più di una emozione, ora che ormai hai ascoltato tutto quello che ha pubblicato, e che lo hai seguito dal vivo tra Ferrara e Dublino, tra Bruxelles e Roma, fino a questo concerto romano del ventisei settembre 2011. Il settembre più caldo degli ultimi centocinquanta anni: la storica chitarra di Glen protesterà spesso per l’accoppiata caldo – umido! Un concerto particolare, per noi, perché è la prima volta che vediamo Hansard al lavoro da solo, senza la band.
Un concerto in un luogo bellissimo, la chiesa Americana Episcopale Anglicana di St Paul’s Within the Walls: ti siedi per ascoltare il rock sulle panche, con l’inginocchiatoio davanti, la Bibbia e il libro degli Inni a portata di mano. Ad aprire la serata è Oliver Cole, Hansard invece inizia come non te lo aspetti: cantando a cappella una ballata, Spencer The Rover.
Già al secondo pezzo, Leave, Glen ha la possibilità di far valere tutta la sua esperienza di busker e di uomo da concerto: i luoghi, l’audience si intessono con la sua performance, e anche il passaggio di un’ambulanza in Via Nazionale entra a far parte dello spettacolo:
Con Low Rising siamo in ambiente Swell Season e, soprattutto, siamo difronte a un’altra grande interpretazione e a un nuovo episodio di interazione con l’ambiente in cui si sta svolgendo il concerto: siamo in una chiesa, Glen l’aveva definita non solo bellissima ma anche intimidating ancora prima di cominciare, ed è quindi ‘logico’ che staccando su Sexual Healing guardi verso l’alto (anzi: l’Alto…) provocando un sorriso tra i presenti.
Con In These Arms Glen coinvolge il pubblico in un coro reso ancora più emozionante dall’acustica del luogo e ‘gioca’ ancora con il fatto di essere in chiesa, chiedendo immediatamente perdono per la parolaccia nel testo della canzone…
A seguire un brano nuovo, uno di quelli nati per il progetto da solista, per il nuovo lavoro. Il titolo è Love Don’t Keep Me Waiting. Più avanti nella serata Glen parlerà del suo rapporto con la facilità di propagazione con cui, adesso, la musica si diffonde senza controllo, dichiarandosi ben contento dell’affetto dimostrato dai suoi sostenitori (fan è una parola che a Glen non piace) che pubblicano tantissimi video dei suoi concerti su Youtube, ma chiedendo rispetto per il suo nuovo lavoro, e quindi di non pubblicare i video delle canzoni non ancora uscite: volontà che, ovviamente, rispettiamo, non includendole in questo post. Torniamo a The Frames, invece, con Dream Awake (qui nel ‘vecchio’ video ufficiale).
Ancora ‘vecchio’ materiale con Perfect Opening Line
E con Seven Day Mile. Canzoni ormai datate, sì, ma che non hanno perso niente del loro smalto.
Lies ci trasporta nell’atmosfera di Once, il film grazie al quale è arrivato l’Oscar
Così come la successiva All The Way Down
Poi Glen scende dal palco, e nel buio affronta una canzone che non è sua ma è diventata comunque uno dei suoi cavalli di battaglia: Astral Weeks di Van Morrison.
Anche in questo caso l’energia messa nel pezzo è tanto prorompente quanto contagiosa. A seguire alcune nuove canzoni, con le quali Hansard si rende anche protagonista di un fuori programma: lo vediamo tentare la tastiera dell’organo della chiesa, che però non dà segni di vita, poi sedersi al pianoforte là vicino, in un altro dei momenti in cui il dublinese ha assolutamente in pugno il suo pubblico.
Quindi, quella che Hansard definisce una canzone scritta da due persone: due persone che hanno formato una coppia professionale e non solo e che hanno condiviso un pezzo di strada importante nelle loro vite, Falling Slowly, la canzone che rappresenta la storia di Once, la storia di Glen e Markéta Irglová.
Un altro ‘classico’ di Once: When Your Mind’s Made Up, che acquisisce sonorità nuove nell’acustica di St Paul’s e regala nell’assolo di chiusura un momento tra i più emozionanti della serata.
I bis iniziano con What Happens When The Heart Just Stops
Di nuovo il buio per Say It To Me Now
E, a seguire, quella che potremmo definire il singolo ideale del prossimo disco Song Of Good Hope.
Poi, perché siamo Irlandesi e gli Irlandesi cantano insieme, dice Hansard, sul palco torna Oliver Cole e l’ultimo brano per questa serata è veramente pirotecnico: sul palco sale anche Fiacre Gaffney, il tour manager e tecnico del suono, donando a un’altra canzone molto amata da Hansard, la dylaniana Forever Young, nuova esplosività:
E finisce così. In mezzo al pubblico c’è energia e commozione. Sono in molti, in moltissimi, ad aspettare l’uscita di Hansard, sono in molti a cercare l’autografo, la foto ricordo. Hansard è disponibilissimo, come sempre, come era già stato alla fine delle prove nel pomeriggio. Quando la folla comincia a diminuire abbiamo la possibilità di parlare con Glen per qualche minuto. No, non sarà l’intervista che stiamo inseguendo da un paio d’anni: Glen è gentile ma fermo sul fatto che, in questa fase, non gli interessa parlare: gli interessa suonare e cantare, è quello e solo quello, in questo momento, il suo modo di comunicare.
Abbiamo il tempo di fargli i complimenti, di dirgli di quanto dia, sul palco, l’impressione di subire a una vera e propria trasfigurazione, e di quanta energia riesca a trasmettere, quando ti regala la sua arte. Parliamo del probabile passaggio della sua carovana, in rotta verso Vienna per il prossimo concerto, per Trieste: un omaggio a James Joyce. C’è il tempo di ringraziarlo, e di darsi appuntamento a un prossimo concerto, magari in Vicar Street, suggerisce Fiacre, il tour manager dalla voce possente. E perché no: gli amici si incontrano quando è possibile.
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