Quando per te un libro è importante, sviluppi verso quel libro una, chiamiamola così, ipersensibilità: quando quel libro viene utilizzato da qualcuno, la prima cosa a cui pensi è che il tuo ‘bambino’ potrebbe subire qualche maltrattamento in corso d’opera.
Così siamo partiti per Genova, alla volta del Teatro Modena-Archivolto, per vedere finalmente l’adattamento teatrale de La Donna Che Sbatteva Nelle Porte del ‘nostro’ Roddy Doyle, con un po’ di apprensione. Ma anche con alcuni elementi tranquillizzanti: il fatto che la drammaturgia, e la regia, fossero nelle mani di Giorgio Gallione, un esperto in ‘furti’ dalla narrativa al palcoscenico con cui avevamo parlato dello spettacolo qualche tempo fa, e che la protagonista, la Paula Spencer in questo adattamento, fosse una attrice come Marina Massironi, sicuramente in grado di leggere ed interpretare la sottotraccia umoristico-bastardadentro-dublinese di un testo drammatico.
Ci incontriamo con Gallione prima dello spettacolo (quella a cui assisteremo è la terza rappresentazione, l’ultima genovese prima del mini-tour di quest’anno) e scherziamo proprio sulla questione delle possibili nostre reazioni da fedelissimi all’adattamento; discutiamo anche dell’interprete, che, ci dice Gallione, era stata da subito la sua prima scelta per il ruolo. Si nota l’atmosfera positiva: le prime due serate sono andate bene, e adesso tocca a noi.
Si apre la scena e vediamo finalmente quella ‘stanza foderata di prato’ di cui Gallione ci aveva parlato nella precedente intervista. Alla sinistra un tavolo, poi il frigo, poi il lavello e la cucina economica, poi un letto. Qualche bottiglia, gin e vodka e birra, spunta sul prato come fiori di erba cattiva. Se guardi bene vedi anche, sui fornelli, una padella. Chi ha letto il libro sa già che gli ingredienti ci sono tutti: adesso resta da vedere come sono stati cucinati per il palcoscenico.
Paula-Marina è seduta al tavolo. Il palcoscenico si apre sul libro. Marina Massironi è da sola in scena per tutto lo spettacolo, ma lo vediamo il giovane Garda (ma sì, dai, va bene anche se lo chiama poliziotto… Ma no, aspetta: anche Doyle lo chiama poliziotto…) che entra, dopo aver suonato il campanello terrorizzante, e dice a Paula quello che è successo a Charlo, quello che ha fatto Charlo. E poi torniamo indietro nel tempo, alla sala da ballo fumosa, a Le Rubettes che cantano Sugar Baby Love
e a Paula conquistata da Charlo Spencer sulle note di My Eyes Adored You di Frankie Valli.
Da lì in poi si comincia a scendere. La drammaturgia segue esattamente le pagine di Doyle, e il teatro segue Paula nei suoi salti tra il lontano passato di figlia cresciuta troppo in fretta senza l’amore del padre e un lungo presente di orrori causati da quel Charlo in cui, quella sera nella sala da ballo fumosa, aveva visto un’àncora di salvezza. La mimica corporea e facciale della Massironi catturano il teatro. Perché il pubblico è in silenzio, non c’è il rumore di fondo di uno spettacolo che non ti prende: è da questa assenza che lo senti, che il pubblico è teso. Teso, muto, fino all’applauso liberatorio che segue alla confessione di Paula, a quel Lui mi picchiava!, gridato, che finalmente fa crollare il castello di carta della donna che incolpa se stessa per le violenze subìte.
Ma Paula, lo sappiamo bene, ha un altro nemico: la bottiglia. E anche nell’affrontare l’altra tematica, appunto quella dell’alcolismo, ritroviamo la fedeltà al testo e la capacità fisica della Massironi di catturare il teatro: siamo sulla punta delle sue dita quando le mani tremanti del malato di bottiglia cercano la chiave gettata nel giardino… E così, tra qualche risata a denti stretti e il continuo mantenersi della tensione mentre seguiamo Paula nel suo racconto di vita, arriviamo a quel lieto fine obliquo che la dice lunga sulla sontuosa (endemica? Genetica?) capacità narrativa degli Irlandesi e, ancora, sulla capacità fisica con cui la Massironi ha affrontato il personaggio: perché è Paula stessa, è la stessa Marina a mettere sulla scena, a farci vedere, il Charlo che ha, final-mente, quello che si merita.
Lo spettacolo si chiude con quella frase, Ho fatto qualcosa di buono, che rende gli applausi per la Massironi quasi parte della storia stessa: forse il pubblico ha un ruolo nello spettacolo, la sorella maggiore di Paula, Carmel, la più cinica, quella che, forse, meritava spazio nella drammaturgia. Ma forse quella Carmel siamo appunto noi, il pubblico: seduti al tavolo della cucina di Paula, davanti a due tazze di tè, in quella cucina che non fa più paura ora che Charlo ha avuto quello che si merita. Forse, l’applauso del pubblico è l’applauso di Carmel, finalmente fiera di Paula.
Quando ci incontriamo nuovamente con Gallione, alla fine dello spettacolo, lo accogliamo parafrasando la chiusura del romanzo e dello spettacolo stesso: Avete fatto qualcosa di buono.
Non resta da far altro che ringraziare Marina Massironi: è stata davvero una ottima Paula Spencer, e nella intervista che leggerete presto su Italish sapremo da lei che cosa si prova a portare in scena un personaggio così tosto, dilaniato eppure granitico, tragico eppure con un ghigno stampato sulla faccia. Quanto al chiedere a Roddy Doyle che cosa ne pensi dello spettacolo, speriamo di farlo presto…
2 comments
Pingback: Roddy Doyle torna a Genova | Italish Magazine
Pingback: Paula Spencer torna a teatro: La Donna Che Sbatteva Nelle Porte 2013 | Italish Magazine