dublino northside vs southside

Dublino Northside VS Southside

Dublino Northside VS Southside: “il lato irlandese della città”

Al matrimonio di Laura all’Hibernian Club di Steven’s Green, Papà Brian si avvicinò e mi disse “Ti presento mia cugina.”

La cugina in questione era magra, alta, un naso affilato e un bizzarro cappellino azzurro con veletta per niente intonato.

La cosa veramente strana, però, era che, in quindici anni, non l’avessi mai incontrata prima.

Des si avvicinò facendo finta di niente: “È pazza ma innocua,” mi disse.

Disse pazza crazy, non pazza mad.

Che non sarebbe veramente tipo: Ragazzi tirate fuori la camicia di forza, ma piuttosto: è una stravagante.

Anche se, a volte, le situazioni si possono sovrapporre. Ma insomma.

La cugina, che aveva largamente passato i sessanta e veleggiava sicura verso la terza età, mi disse qualcosa di incomprensibile come una confidenza poi rise sguaiata e infine tirò in aria il braccio e cacciò fuori un urlo da cheyenne che terminò in un “North-side, North-side, North-side!” cercando di lanciare un coro che nessuno, però, raccolse.

Des mi guardò e disse solo: “Ci tiene…”, e poi se ne andò via, il più lontano possibile dalla cugina innocua ma pazza.

E, in fondo, la cugina non aveva neanche tutti i torti. Lei era del Northside. E anche Papà Brian lo era. Il che faceva, per diritto di sangue, anche di Laura, una del Northside.

Che poi aveva vissuto anni a Stoneybatter che in effetti è Northside. Ma il sangue, in queste cose, conta più di dove vivi realmente.

E, a dirla tutta, anche Niall, lo sposo, anche lui era del Northside, e così tutta la sua famiglia.

Quindi, in effetti, la cugina aveva anche ragione.

Ma cos’è questa storia del Northside?

Per capirla basta prendere una qualsiasi cartina di Dublino. Spiegatela e dategli un’occhiata. Dublino è un cerchio. Il diametro è rappresentato dal fiume. Il Liffey. O la Liffey. Insomma, fate voi.

Quel che importa è che il fiume taglia la città in due, come la mela del Simposio di Platone.

Ora, se guardate la piantina vedrete che la zona sud è punteggiata di cose interessantissime da visitare.

Ci trovate Il Castello di Dublino, sede del Governo all’epoca della dominazione britannica.

Lì dietro la Chester Beatty Library, con una collezione incredibile di oggetti etnici che l’esuberante milionario collezionò nel corso della sua vita.

Poi c’è il Trinity College e la magnifica biblioteca da cartolina, col suo Book of Kells e la coda chilometrica per andarlo a visitare.

Anche se poi ti fanno vedere solo una riproduzione.

C’è la statua di Molly Malone. Il Parlamento.

C’è Temple Bar coi suoi pub da Disneyland con musica folk ventiquattr’ore su ventiquattro; e Grafton Street, e i negozi, e poi il Green, e la National Gallery, e il Museo di storia, e Christ Church e Saint Patrick, le due grandi cattedrali protestanti costruite a un tiro di sasso l’una dall’altra.

E poi le case. Vittoriane e Georgiane, bei palazzi dalla fronte alta. E Rathmines, cuore dell’elite britannica nel sette e ottocento. E poi, giù, giù, scivolando, si va verso Blackrock, Monkstown, Dún Laoghaire, Dalkie, e le ragazze diventano biondissime, dai lunghi capelli lisci californiani.

E sono esili e filiformi, e bevono in calici larghissimi dei bianchi inventati apposta per loro come lo Shiraz, e hanno una pelle arancione che è il frutto di quelle creme autoabbronzanti al cheddar che si spalmano addosso con malcelata soddisfazione.

E quando ti parlano lo fanno agitando una borsetta Gucci e cosa ti dicono non lo saprai mai perché tu stai pensando a quando sia cominciata la mutazione genetica senza che te ne fossi accorto.

E pensi a Jeff Bridges e allo sceriffo che gli tira una tazza in testa dicendogli “Stai lontano da Malibù, Lebowski. Stai lontano da Malibù.” E scuoti il capo sconsolato.

Dove sei, cara vecchia sporca Dublino. Dove sei coi tuoi pub zozzi, con l’odore di vomito e alcol. Chi ti ha trasformato in una Malibù sul Mare d’Irlanda?

Ma poi ti basta prendere il treno che sale su, verso nord.

Sulla cartina puoi seguire la linea nera con l’indice fino a Pearse, Tara Station, e a quel punto la linea nera della ferrovia, sulla cartina, attraversa la striscia azzurra che è il Liffey e arrivi a Connolly.

Ecco.

Alza il dito, scendi dal treno. Un tossico ti chiede se hai degli spiccioli.

Sei arrivato nel Northside.

Il Northside era il lato irlandese della città. Quartieri operai. Gente povera.

Nel Northside non ce li hai i bei palazzi con tanto di giardinetto ben curato; non ce ne sono di cose da visitare. Nel Northside c’è la Posta: il GPO, ci sono i mercati generali.

C’è la fabbrica di whisky.

C’è l’eroina, il tribunale. C’è una prigione, che prende il grazioso nome di Mountjoy: il Monte della Felicità.

E c’è Harbour Hill, il carcere per i reati sessuali.

Nel Northside.

Se uno va a Dublino in vacanza, difficile vada a visitare il Northside. Se ci trovi qualche turista è perché si è perso. Invece, sotto il Liffey, le strade sono tutto un muoversi di universitari, un beccheggiare di impiegati di banca o del governo; di dipendenti delle grandi ditte, di Google, di Facebook, Amazon: giovani sorridenti e ambiziosi che vivono di anfetamine durante la settimana e si spaccano di alcol nei weekend.

E gitanti spagnoli e italiani che pascolano in branco. E poi gli americani con le magliette Baciami sono irlandese perché un loro trisnonno aveva scappato la miseria del Mayo.

Ecco. Io la zona sud. Poco. È piena di turisti e di ricchi. E a me, i turisti e i ricchi, mi fanno paura.

Zona nord, invece. Zona nord. Zona nord sì, l’ho conosciuta.

Ho conosciuto le case col filo spinato a protezione dei giardini. Hanno fili spinati di forme e dimensioni che uno non si immaginerebbe mai che la mente umana si sia spinta a tanto per dilaniare ferire e offendere un corpo che vuole scavalcare un muro.

Per mesi, vicino alla Lilliput Press – la piccola casa editrice indipendente di Stoneybatter – c’è stata una bicicletta imprigionata nel filo spinato, a tre metri d’altezza, su di un malandato muro di cemento. Chissà chi ce l’aveva buttata. Certamente i ragazzini. Quelli che si vestono con tute acetate dello United e del Liverpool e ti chiedono sigarette per la strada e la sera tirano pietre ai passanti davanti alla caserma della polizia che se ne guarda bene dall’uscire.

Questa è la zona nord.

Dove nei pub si beve Guinness, altro che Shiraz.

Dove Roddy Doyle ha ambientato tutti i suoi romanzi. I Commitments, la Trilogia di Barrytown.

Dove la vita è vera. Ha un odore che sa di urina e fish & chips.

E i pub hanno vetrine polverose. E ci sono negozi di ferramenta e meccanici, e al mercato di Moore Street vecchie male in arnese vendono cestini di fragole in carrozzine anni ’60. E le case sono piccole e basse. E le strade, più strette e sporche. Ma su quelle strade e quelle case il cielo è più ampio: più azzurro, quand’è azzurro. Più grigio quando è grigio.

E le donne non sono le californiane filiformi e bionde di Dún Laoghaire. Ma fiammate di rosse, di tutte le tonalità che il rosso ha mai pensato, e spingono carrozzine con tre bambini dentro, e altri tre seguono o sopravanzano; e sono massicce, dai grossi seni abbondanti e dai fianchi affaticati dal tanto figliare.

Col viso e le braccia ricoperte da costellazioni di efelidi. E parlano di sesso e bevono sidro e ridono forte. E sono belle.

E sono figlie e sorelle e moglie di operai, di disoccupati, di minatori, figlie dell’Irlanda proletaria.

Questo sono, le donne del Northside.

Poi, anche qui come ovunque, il benessere è arrivato. La Celtic Tiger ha lasciato l’impronta dei suoi artigli sventrando interi complessi urbani per costruire uffici e appartamenti moderni ad appannaggio di giovani rampanti; e negozietti bio dai prezzi inospitali; e caffè con il wifi dove gli hipster possono bere il cappuccino.

Certo, anche qua è arrivata quella roba lì. Anche nel Northside. Quello che per millenni il Liffey aveva separato, i soldi le banche e le speculazioni edilizie, hanno unito.

Ma non importa, perché non conta dove vivi o dove sei nato. Appartenere al Northside è uno stato d’animo. Un moto dello spirito. O ce l’hai o non ce l’hai. Non ci puoi fare niente.

Ecco perché, dopo tutto, la vecchia cugina al matrimonio di Laura mi era simpatica.

E avrei voluto gridare “North-side, North-side, North-side!” con lei.

E vorrei raccontarvi di come ho passato la serata a parlare insieme, e che ci siamo divertiti come matti, e che mi ha conquistato col suo carattere esuberante e abbiamo bevuto Guinness fino alle ore piccole della mattina, e siamo tornati a casa sottobraccio cantando vecchie canzoni per le strade deserte.

Vorrei raccontarvi tutto questo.

Vorrei raccontarvelo a riprova di che persone incredibili siano quelli del Northside. Vorrei farlo. Ma è impossibile.

Era davvero pazza.

About Francesco Scarrone

Francesco Scarrone ha scritto per il teatro e per il cinema. Ha sceneggiato 'The Repairman' per la regia di Paolo Mitton e 1978, 'Vai piano ma Vinci' (Nomination David di Donatello 2018) per la regia di Alice Filippi e 'Fuori Onda' (Regia Nicoletta Polledro). Arno Klein e Il Mulino di Amleto hanno rappresentato molte delle sue opere teatrali. Ha scritto 'Ecuba - ovvero il banchetto dei morti' per Franca Nuti. Ha rivisitato Alice nel Paese delle Meraviglie per la regia di Marco Lorenzi in una produzione del Teatro Stabile di Torino. Ha scritto inoltre due libri, 'Di lama e d'ocarina', edito dalla Gorilla Sapiens edizioni e 'Dublino 90' per la Rogas Edizioni.

Check Also

manchan magan interview - italishmagazine

La “magia” del Gaeilge: intervista a Manchán Magan

Manchán Magan è una voce molto interessante del panorama culturale irlandese, e davvero una voce importantissima sul Gaeilge, il gaelico irlandese. "Thirty-Two Words for Field - Lost Words of the Irish Landscape" è il suo lavoro più recente: lo abbiamo intervistato a proposito del libro e su molto altro Gaeilge ancora!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.