Diario d’Irlanda: Dublino 4 dicembre 2015

Martina è di nuovo a Dublino, ricominciano i diari dublinesi!

IMG_20150813_172410Carissimi cuori irlandesi,

mesi di silenzio ci separano, ormai. E si sa, il silenzio uccide la memoria, ma davvero le dita erano bloccate. Forse è un effetto dell’Italia. Scrivevo nella mia mente, quasi tutti i  giorni, ma era come se dare corpo a quei pensieri fosse ancora più doloroso che pensarli.

Ho di nuovo pianto tanto, prima di partire. La stoccata l’hanno data le parole del nostro buon Max. Sì, proprio lui: l’anima di Irish Inside, di Italish e di mille altre cose. Perchè lui scrive parole che sono davvero definitive.

Ho avuto l’onore di ricevere i suoi tre libri, in formato digitale. Ma ho dovuto stamparmeli: io sono troppo tradizionale. Parlano di Irlanda, della sua Irlanda, dell’Irlanda di sua moglie, che poi è anche un po’ la mia, è anche un po’ la nostra. Ma torniamo alle parole di Max, che io poi divago troppo (forse per questo mi trovo bene a parlare con gli irlandesi).

Di botto avevo iniziato tutti e tre i libri. E di botto mi sono fermata senza finirne nemmeno uno.

Così come mi sono bloccata con la scrittura. Leggere di lei, scrivere di lei avendola lontana era un dolore davvero troppo forte.

La fotografia non è un surrogato della persona amata. I ricordi (e Joyce ce lo insegna) possono diventare amari, dolorosi.

Ho preferito vivere anestetizzata: non potevo avere coliche in continuazione, non potevo continuare a non dormire e a piangere, ogni notte, per la lontananza.

E così ho tenuto la mia bella isola chiusa dentro me, continuando ogni giorno a fare qualcosa per lei: studiare inglese, in primis. Ogni giorno. Un pochino ogni giorno. Da sola. Con tanta fatica.

Ieri, il 3 dicembre 2015, i miei piedi si sono staccati per la quinta volta in poco più di un anno dal suolo italiano. Sempre uguale la direzione: Dublino. La notte prima della partenza ho ricominciato a leggere il primo libro di Max: “Il giorno che incontrammo Roddy Doyle“. Ho pianto. A dirotto. Forte. Senza fiato. Così come stasera piove e c’è il vento. A dirotto. Forte. E ti lascia senza fiato.

Il primo libro è quasi finito. L’unico aggettivo che mi viene per descriverlo è “irlandese”. Non sono nessuno per giudicare uno scrittore, ma il libro di Massimiliano Roveri (Max O’Rover) è un libro irlandese.

Non è scritto in inglese e nemmeno in irish. Non è stato scritto su suolo irlandese, ma su suolo italiano.

Non è stato scritto da una persona nata e cresciuta in Irlanda. Anche James Joyce scriveva libri incredibilmente irlandesi mentre aveva i piedi ben piantati in Italia.

“Il giorno che incontrammo Roddy Doyle” è un libro irlandese per la poesia che ha dentro, per le storie che racconta, per il dolce amaro che trasmette, per la magia reale che traspare dalle pagine, perchè parla di sogni incredibilmente concreti, perchè parla di tristezza e felicità. Sono belli gli irlandesi, perché sanno annullare le dicotomie. Sanno realizzare l’impossibile.

Voi lo sapete, cuori irlandesi, che qua tutto diventa vero.

Qua un’isola piccola può battere la potenza britannica. Qua si può essere ovunque nel mondo restando se stessi. Qua le volpi camminano in mezzo alle strade.

Qua i cavalli salgono sulla Luas. Qua girano in maniche corte in pieno dicembre (una delle prime immagini viste ieri, appena scesa dall’Air Coach in O’Connel Street.

Pioveva a dirotto. Io avevo giacca a vento tecnica, cappello e sciarpa. Lui aveva una t-shirt. Maniche corte). Qua il Presidente della Repubblica sembra Bilbo Beggins. Qua suonano per strada, ovunque. Qua ci sono davvero le casette di mattoni rossi.IMG_20140926_102756

Stasera ho accompagnato la mia amica Imma nella sua nuova casa, poco distante dall’ostello (il solito, il “mio” ostello, l’International hostel, in Mountjoy Street, che mi piace già solo per il nome della via). Siamo nei quartieri con i numeri dispari. Siamo in Dubin 7, a nord, dove dicono che faccia paura.

Ora vi dico io cosa ho visto.

Strade quiete e mattoni rossi su un cielo nero-blu. Luci nelle case e addobbi alle finestre.

Adoro sbirciare la loro vita. E i comignoli.

Adoro quei comignoli piccolini sui tetti bassi. Pare di vedere ancora uscire il fumo grigio, come in un film, anche se sono in pochi, ormai, ad usare il caminetto. Io invece quel fumo lo vedo.

Sempre.

Questa è una terra magica. Che vive di una magia concreta. Non è importante se il fumo ci sia o non ci sia. Quel fumo senz’altro c’è stato, l’ho letto nei libri irlandesi. E ci sarà sempre.

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