Un’altra puntata del diario dublinese di Martina!
Carissimi cuori irlandesi,
oggi sono partita con un sacco di buoni propositi dublinesi: sistemo un po’ di cose in camera, studio – che domani inizia scuola – mi faccio una piccola passeggiata giusto per sgranchirmi le gambe, organizzo un po’ di materiale per ItalishMagazine.
Poi apro la finestra e vedo il cielo. La furia dei giorni passati ha lasciato spazio alla pura poesia. E con l’azzurro che ti entra dentro (proprio come quegli occhi) non puoi restare in ostello. Feck it! Si esce e basta. Era una giornata che sapeva di opera d’arte sin dal suo inizio e faceva assaporare il piacere di mandare a rotoli ogni piano e vivere momento dopo momento ciò che sarebbe inaspettatamente accaduto.
Dublino & birra
Prima intenzione: passeggiata in St. Stephen’s Green Park.
Intuizione lungo il cammino: magari passo da Temple Bar, che ci dovrebbe essere il book market, è domenica. E così i primi euro lasciati all’economia irlandese sono finiti in libri e cd.
Ho le mani bucate quando si tratta di libri e cd. E di birra, ma detto così non suona poi tanto bene. E di biglietti aerei per Dublino.
Colpo di scena: sms sul cellulare che mi avvisa che Max (sì, il Max Roveri che vive qua a Dublino, l’anima di Italish, di Irish Inside e di tante altre cose. Il Max Roveri che ormai ha solo il cognome di italiano. Il Max Roveri che lavora con Catherine Dunne. Insomma, quel Max Roveri) è già in centro. Appuntamento in Temple Bar e iniziano le chiacchiere davanti a una stout made in Galway che fa tremare la Guinness (e non è un sacrilegio!): la Buried at Sea.
Seconda intenzione, dopo aver salutato Max: voglio visitare il Little Museum of Dublin.
È dal primo viaggio, a settembre 2014, che ho una riduzione per l’ingresso; è da allora che ogni volta mi sono detta: “lo faccio”.
Oggi è successo. Al quinto tentativo. I miei tempi sono già molto irish, in fondo.
Dublino & musica
Intuizione lungo il cammino: prendo un caffè. Davanti a me c’è uno Starbucks. Mi accontento ed entro. Accanto a me un signore, sulla settantina, direi. Legge il giornale. Colpo di scena: un’intera pagina dedicata alla danza contemporanea diventa un’ottima occasione di conversazione. La mia fortuna è la sua provenienza: è inglese, lo capisco. Mezz’ora parlando di danza e musica. Perché lui è un musicista, con moglie italiana, delle Dolomiti. Amano l’opera. Lui mi capisce, io lo capisco: ci veniamo incontro e comunichiamo. Parliamo anche di “cose elevate”: il ruolo della danza oggi e come è cambiata nel tempo; cosa vuol dire essere un musicista e quanto è forte il dolore nel non poter più tenere uno strumento tra le mani.
Lui si stupisce quando gli dico che in Italia si studia musica “obbligatoria” solo per tre anni, alla scuola media, ed è pure considerata una materia di serie B. Mi chiede che lavoro faccio: l’impiegata. Si stupisce di nuovo: “Credevo fossi una giornalista di musica e danza”, mi dice. E io mi rendo conto di quanto l’Italia sia lontanta dalla mentalità anglosassone. Anni luce. Non ho avuto il coraggio di dirgli che quelli, da noi, sono mestieri che danno da vivere davvero a pochi. Ho preferito salutarlo con un sorriso e andare al museo.
A questo punto avevo già collezionato libri, cd, chiacchiere “artistiche”. Raggiungo il museo. Emozionante. Interessante. Dubliner al 100%. Un piccolo gioiello che merita davvero la visita. Vedo e sento la storia di questa città che giorno dopo giorno è sempre più mia. Giro per le stanze. Resto a bocca aperta. Non voglio spoilerare nulla, vi dico solo di andarci e vi racconto una storia (anche ciò è molto irish).
Settembre 2014, primo viaggio in Irlanda con la mia amica Ambra. Da Sandymount prendemmo il bus per andare al St. Stephen’s Green. L’autista: “Visitate quel posto. Ci portai mio figlio, per i suoi 13 anni. Volevo che conoscesse il luogo in cui sta crescendo”. Autista irlandese con figlio irlandese, insieme a visitare il Little museum of Dublin. Tanto basta per renderlo essenziale per qualunque cuore irlandese.
Dublino & arte
Ma per creare una vera opera d’arte servono ancora altri ingredienti. Serve la pittura, in primis. Così la Signora Vita mi ha dato ciò di cui c’era bisogno: ho sbattuto in una enorme esposizione di opere lungo tutto il perimetro del parco che riconcilia ogni animo. Guardavo i quadri, guardavo gli artisti che li esponevano, guardavo ci si fermava a guardare. Ero nel mio mondo. Mi pareva davvero un sogno, ma ancora più bello, perché finalmente era reale. A volte penso che certe cose possano accadere solo qua a Dublino, dove il sogno diventa reale, dove i desideri si avverano, dove la magia è pane quotidiano.
Qua i giorni si capovolgono, si contraddicono. Qua la vita va come deve andare. E io sono finalmente serena nel seguire la corrente che mi riporta alla mia sorgente.
Rinasco ogni volta, ogni minuto. Qua sento quella poesia che mi è cresciuta dentro da quando – ero davvero piccola – mio padre mi sedeva sul tavolo e mi leggeva i libri. Oggi glieli vorrei leggere io a lui, ma in inglese. Magari quelli che – ancora non paga – ho comprato da Hogdes & Figgis.
Sì, ci sono entrata. Sono entrata nella più vecchia libreria d’Irlanda, in Dawson Street. Fino a oggi pomeriggio l’avevo solo letta nell’Ulisse:
She, she, she. What she? The virgin at Hodges Figgis’ window on Monday looking in for one of the alphabet books you were going to write.
Questa è una terra incredibilmente vera. Dove anche i libri prendono vita. E ogni volta mi stupisco.