Rientro amaro per la nostra Martina…
26 AGOSTO 2015, ORE 00.44
Carissimi cuori irlandesi,
ho bisogno di voi, per favore.
Non mi vergogno di dire che sto male. La pena dell’anima è diventata fisica.
Si dice che la tristezza abbassi le difese immunitarie: sono a letto con la febbre, la tosse, ghiandole gonfie e lo stomaco duro come un macigno. L’ansia è talmente forte che a volte fatico a respirare. Mi manca la “mia” terra. E, ulteriore aggravante, qua in Italia mi sento a disagio. Ed è solo il secondo giorno.
Penso a Ivan, giovane italiano laureato a pieni voti in geologia che era in ostello con me e studia inglese nella mia stessa scuola. La sera in cui ho lasciato Dublino l’ho incontrato mentre, carica di valigie, andavo a prendere l’Air coach in O’Connell Street. Rientrava dal pub. Ha fatto marcia indietro e mi ha accompagnata alla fermata. E ha capito ogni mia lacrima: “Vedo in te quello che capiterà a me tra qualche settimana, quando me ne andrò“, ha detto. Sa che in Italia non ha futuro. E sa che forse ha trovato l’amore della sua vita: quando parla dell’Irlanda sorride e si illumina. È bellissimo da vedere.
Penso a Robert, il mio professore del pomeriggio, che da buon irlandese mette sotto i tacchi i suoi anni adulti e per un raggio di sole torna bambino. Lui che ha vissuto a Roma. Lui musicista che viaggia in bus fino a Galway per un concerto. Lui che sa sorridere ed essere semplice e in tasca ha una laurea a pieni voti in Scienze della Comunicazione al Trinity. Lui che ama la sua fidanzata e ci fa fare le listening sulle canzoni. Dice che sono molto più difficili. Dice che se si vuole puntare in alto e avere ottimi risultati, bisogna divertirsi.
Penso a Silvia, futuro medico dai capelli rossi, che lavora in ostello, studia inglese a scuola e prepara gli esami universitari sui divani della reception. Ha paura di innamorarsi del suo bell’irlandese, giovane anche lui, con una borsa di studio al Trinity College e con le serate passate a guidare i richò per pagarsi i viaggi per andare a surfare. Silvia tornerà a Dublino a ottobre per qualche giorno. Si è innamorata. Dell’Irlanda e dell’irlandese (ma di questa seconda cosa non se n’è ancora resa conto).
Penso a Salvo, con l’arpa tatuata sulla gamba, in Irlanda da 9 anni. È andato lì per la musica. È bellissimo vederlo con la chitarra in grembo e i fogli di carta sparsi davanti a lui, mentre compie la magia di mettere insieme note e parole. È bellissimo sentirlo suonare nei pub.
È bellissimo vedere i suoi sorrisi e “invidiarlo” per come padroneggia le vie della città. E capisco la sua irrequietezza dettata dal bisogno di poter pensare solo alla sua musica.
Penso alla mia dolcissima Imma, che in un corpo piccolino e minuto racchiude una forza indescrivibile. Ha una laurea italiana in chimica farmaceutica e un master irlandese in ricerca clinica. Anche lei continua a studiare inglese e stringe i denti e fatica per costruirsi un futuro. Crede di avere scarsa cultura. Io credo che sia un retaggio italiota: lo Stivale l’ha convinta di non essere all’altezza. Io posso assicurare che è una delle persone più intelligenti, umili, forti e sensibili che abbia mai conosciuto. E penso che l’Italia ha perso un altro cervello.
Penso a Domenico, brillante ingegnere di 35 anni. Anche lui vive e lavora in ostello. Studia inglese e fa colloqui con le grandi multinazionali che hanno i loro quartieri generali a Dublino. È bello parlare con lui: è una persona che ti arricchisce. Quando l’ho salutato, gli ho detto: “Oggi in centro manifestavano per l’acqua pubblica e per evitare l’aumento delle tasse. C’erano famiglie con bambini piccoli e anziani. Non c’erano tensioni, c’era poca polizia e il corteo non è stato caricato. Se ti dico che soffro nel tornare in Italia, tu mi capisco vero?“. Ha solo abbassato lo sguardo: ” Sì, ti capisco”. Qualche giorno prima leggevo nei suoi occhi la mia stessa sofferenza per i funerali “di stato” mafiosi.
Penso alla mia terra natale, incapace ormai di sorridere. E penso a un giorno di sole in St. Stephen Green Park.
Penso a voi che mi incoraggiate e che, senza saperlo, sovente mi parlate di un mio sogno: scrivere un libro. E penso all’angelo che incontrai a settembre che, anche lui senza sapere nulla di me, mi disse: “Dream on and make your dreams reality”.
E condivido con voi una canzone di uno dei miei musicisti irlandesi contemporanei preferiti. Sogno sulla musica e sulle immagini, sperando che la febbre mi conceda visioni irlandesi.