Prosegue l’appuntamento con il diario d’Irlanda di Martina Bonati.
11 AGOSTO 2015, 0.12
Carissimi cuori irlandesi,
oggi la mia fidanzata mi sta prendendo a schiaffi. La conoscete bene, sapete come fa lei ogni tanto. Una di quelle giornate in cui tira fuori tutto il suo carattere, diventa rude e scontrosa.
Sto patendo tantissimo il cambio di clima e sono andata in crisi profonda per la lingua. Finite le lezioni del pomeriggio, sono corsa in ostello e mi sono messa a dormire, come per staccare la spina e chiudermi in un universo parallelo. Avrei voluto essere ovunque, tranne che a Dublino. Ho patito la città. Troppo traffico, troppa sporcizia, troppe lingue che si incrociano. E gli irlandesi che ho incontrato oggi sono quelli che nella mia mente hanno preso il nome di “irlandesi del lunedì”: sempre bellissimi, ma ancora in pieno hangover.
Oggi emerge quel retrogusto amaro che lasciano i racconti di Joyce.
Ma io la capisco, questa amante ribelle. Perché alla fine dei conti faccio anch’io così: appena il rapporto diventa un po’ più profondo, mostro il peggio di me, come per mettere alla prova il povero tapino di turno. Un prendere o lasciare totale, nel bene e nel male.
E, mia cara Dublino, sono ben contenta che il nostro rapporto sia arrivato a questo punto. Perché poco fa mi è bastato guardare i colori del tuo tramonto per dirti un’altra volta di sì. Quei tuoi occhi così espressivi mi sono di nuovo entrati dentro. Stasera le stelle si alternano a cumuli grigi. E più mi respingi, più ti dico che amo le tue nuvole.
Avessi la forza, uscirei da questo crocevia di mondi che è l’ostello, per camminare da sola lungo la Liffey, ascoltando la “mia” musica, nata sulla tua terra. Una musica che mi porto dentro da anni. Da quando potevo ancora suonare. Ero poco più che bambina, davvero. E sognavo, dall’Italia, su quelle note nate sulla terra che oggi mi sorregge.