Ancora un capitolo dal diario d’Irlanda di Martina Bonati.
10 AGOSTO 2015, 0.16
Avevo troppe cose da raccontarvi, oggi, ed era quasi un’ora che me ne stavo qui seduta nella wi-fi zone dell’ostello senza riuscire a decidere da che parte iniziare. Sono uscita a fumare una sigaretta.
Il cielo. Questo è l’inizio di tutto. Specialmente qua in Irlanda. Anche se – effettivamente – è un po’ uno stereotipo.
I colori. Il cielo di zaffiro (come lo chiamo io) che in Italia tanto mi manca. Ora ci sono le stelle sopra a Dublino. Riconosco le costellazioni, che qua sembrano più vicine, più nitide. E vedo una poesia unica, sebbene sappia che è solo uno dei bellissimi regali della natura, spiegabile con leggi fisiche e astrofisiche che ben conosco. Forse l’Irlanda mi ruba così tanto il cuore perché è il perfetto connubio tra scienza e poesia. Forse qua, anche nella capitale, vedo quella natura che da noi non c’è più.
Stamattina, alla prima sigaretta davanti all’ostello, ho visto una signora in ciabatte, pigiama e cappotto che rincorreva e chiamava il suo cane, che a sua volta correva dietro a un altro cane, obbligando un automobilista a uno zig zag da Formula 1. Era spettinata, ancora con la faccia addormentata. Poi mi sono accorta che aveva in mano un portafogli. Stava andando allo Spar qua accanto. Poco dopo è uscita con latte e giornale. Nessuno di noi, in Italia, si sognerebbe mai di uscire di casa in pantofole e pigiama, con i capelli arruffati.
Eppure…
L’ho di nuovo incrociata dopo, mentre lasciavo l’ostello per andare a Howth. Credo che si fosse preparata per andare a messa, perché le nostre strade sono corse parallele fino alla chiesa. Era a braccetto del marito, truccata e con le scarpe con un lieve tacco.
Non giudico nulla. Osservo solo, il più possibile. E mi ascolto dentro, per capire cosa mi fa star bene e cosa no. La signora spettinata in pigiama mi ha fatto sentire a casa, anche se a casa non sono.
Anzi! Sono in un luogo completamente opposto al concetto di casa che molti credono. Nella mia stanza ci sono 8 letti, che quasi ogni notte conoscono corpi diversi. In ostello sento lingue a cui nemmeno sono capace di dare un nome. I miei vestiti resteranno stropicciati in valigia per due settimane. Gli spazi personali non esistono e il campo d’azione è limitato. Tutto ciò che faccio è veicolato da una lingua che non è la mia e che per me è difficile. Ogni volta che attraverso la strada rischio ancora di essere investita. Eppure…
Oggi ho visto le foche, libere in mare, per la prima volta nella mia vita. Oggi ho sentito il profumo del mare che tanto amo, uguale al profumo del mare che mi avvolgeva da bambina al paese di mio papà. Ma quel mare portava anche l’aria di montagna che ben conosco, a me così familiare, quella del paese in cui vivo, il paese di mia mamma. Ed oggi era tutto lì. Nel sorriso di Paula, che a due passi dal mare mi ha regalato uno dei suoi cupcake e ha fatto conversazione con questa italiana che martoria la sua lingua. Nei bambini che giocavano in mezzo ai gabbiani sui prati verdissimi lungomare. Nei giochi della marea, che resterei a guardare anche di notte.
E ora vi devo salutare. Come sempre vi ringrazio. E vi chiedo scusa per i post sempre più lunghi.
Ho portato una bottiglia di vino piemontese da bere con i ragazzi dell’ostello, appena staccano il turno, a mezzanotte.
Vi abbraccio. Brindate con noi, sotto il cielo blu zaffiro di Dublino.