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Se dici Irlanda pensi birra. Ma c’è un’altra bevanda che è parte integrante del vivere irlandese: il tè.
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Ancora più irlandese della birra..?
Se l’Irlanda è, secondo i dati del 2010 riportati da Wikipedia, il quarto Paese al mondo per consumo di birra (primo la Repubblica Ceca), per quanto riguarda quello di tè l’Irlanda è (dati del 2009) il terzo.
Il consumo, e la posizione in classifica, sono scesi rispetto agli anni Cinquanta, quando ce ne raccontava Heinrich Böll in Diario D’Irlanda:
Sempre più lunga si faceva la coda al banco del bar dove, per pochi soldi, davano pozioni abbondanti di tè, nettare dell’occidente. Si direbbe che gli Irlandesi si affannino per non cedere nemmeno questo primato mondiale conservato a fatica davanti agli Inglesi. In Irlanda si consumano quasi cinque chili di tè a persona ogni anno: ogni anno, dunque, attraverso la gola di ogni Irlandese passa tanto tè quanto basterebbe a riempire una piccola piscina.
E, come sa benissimo chi segue Italish, l’Irlanda è anche un Paese che consuma (e produce…) letteratura di altissima qualità.
E se la letteratura nasce anche da ciò che si vive ogni giorno, così come si parla spesso di birra nei libri irlandesi, naturalmente i libri irlandesi contengono anche molto, moltissimo tè.
Questo post, scritto da una persona che ama il tè quasi quanto l’Irlanda, è un omaggio agli scrittori irlandesi che hanno ricordato il tè nei loro libri. E quindi è, probabilmente, un work in progress…
Ma andiamo a cominciare: l’acqua bolle, il kettle ha finito il suo lavoro. Tuffiamoci. Pronti ad annegare nel tè irlandese?
Cominciamo con il tè di Samuel Beckett
Bevitore di Guinness, appassionato (e giocatore!) di Rugby, ciclista. Per chi vi scrive, l’autore perfetto! Avevamo già parlato di Play, ed è in Play che si parla del tè verde. Non è certo il mio preferito e la situazione in cui compare è decisamente torbida: M immagina W1 e W2 che prendono il tè insieme in un luogo in cui M è stato con le due “W”, le due sue amanti.
In Murphy il tè è quasi un personaggio. Un premio. Di più! Un oggetto sacro, un’ostia liquida:
Miss Carridge’s day had a nucleus, the nice strong cup of tea that she took in the afternoon. It sometimes happened that she sat down to this elixir with the conviction of having left undone none of thos things that paid and done none of those things that did not pay.
Un elisir, appunto, che viene consegnato (a Celia, nella sua stanza) con una delicatezza, una attenzione indicibili, secondo un rituale (il trasporto, attento e silenzioso; l’apprezzamento dell’aroma del Choisest Lapsang Souchong [legno e aghi di pino: il mio preferito!]; il rispetto dei tempi: Drink it before it coagulates).
La metà liquida del sostentamento giornaliero perfetto:
“A cup of tea and a packed of assorted biscuits”. Twopence the tea, twopence the biscuits, a perfectly balanced meal.
Il tè di JJ
Se fosse per l’anagrafe, James Joyce doveva essere il primo della lista.
Ma ho un debole per Sammy… Nondimeno, il tè ha i suoi gran bei momenti anche nell’Ulisse.
Una delle prime cose ad accadere nell’Ulisse è una… Colazione. E il tè non può mancare:
– When I makes tea I makes tea, as old mother Grogan said. And when I makes water I makes water.
-By Jove, it is tea, Haines said.
Anzi: Stephen arriva facilmente alla terza tazza consecutiva, che dà a Joyce un’occasione per giocare con gli aggettivi:
Stephen filled a third cup, a spoonful of tea colouring faintly the thick rich milk.
E se è vero che, se Dublino fosse stata distrutta, la si sarebbe potuta ricostruire a partire dall’Ulisse, Joyce non ci lascia senza indicazioni su dove comprarlo, il tea:
In Westland row he halted before the window of the Belfast and Oriental Tea Company and read the legends of leadpapered packets: choice blend, finest quality, family tea. Rather warm. Tea.
L’eleganza del tè di Banville
Anche in John Banville compare spesso. Nei libri dedicati a Quirke i difficili incontri tra Quirke medesimo e sua figlia Phoebe sono sempre dettati, ritmati dal tè, che si fredda mentre il desiderio alcolico di Quirke, e i suoi più o meno disperati tentativi di tenerlo a bada, si accende.
C’è da credere che il Lapsang Souchong di primissima scelta che compare in Congetture Su April / Elegy For April sia lo stesso di Beckett, e Quirke viene colpito come Miss Carridge dall’aroma:
L’aria profumava della fragranza leggermente legnosa del tè cinese.
Ma è in Isola Con Fantasmi / Ghosts che Banville si lancia in una vera e propria ode al tè:
Tè. Parliamo di tè. Per me prendere il tè è un piacere rituale e solitario. Preferisco un Darjeeling di qualità superiore; c’era una società mercantile a Parigi, ricordo – come si chiamavano? – che faceva una miscela superba, di cui era disposta a cedere un’oncia o due in cambio di un lakh di rupie. Altrimenti un Keemun particolarmente buono è accettabile, in caso di necessità. Poi c’è la questione della tazza: persino la peggiore brodaglia amara di Licht avrà una parvenza quasi decente se servita, diciamo, in un’antica Royal Doulton zigrinata, verdazzurra con il bordo dorato. Amo la porcellana, ne amo l’idea stessa, mi viene voglia di prenderla, tazza e piattino e tutto, infilarla in bocca e romperla masticandola tra i denti, come una meringa. Il tè sa di altre vite.
La “cuppa” del popolo: Roddy Doyle
Spesso mi chiedo perché, e come sia possibile, che mi piacciano così tanto due autori, Doyle e Banville, che sono così diversi tra loro. Forse perché un filo di schizofrenia deve esserci davvero in noi. In me…
Doyle è stato l’autore attraverso cui ho conosciuto l’Irlanda prima di vederla. Gli devo molto, quindi. Uno dei suoi passi che in assoluto amo di più (no: è quello che amo di più in assoluto, e basta) è quello sul tè bevuto da Jimmy Rabbite Senior in Due Sulla Strada / The Van:
Il tè invece, l’adorava la sua tazza di tè, cazzo; venti al giorno.
Aveva una tazza speciale che per anni si era portato al lavoro; ce l’aveva ancora. Era una tazza bianca grande, semplice, senza incrinature o scritte stupide. Ci metteva dentro due bustine di tè, o almeno così faceva prima. Dio, non se lo sarebbe mai dimenticato il sapore della prima tazza di tè la mattina, di solito in una stanza spoglia di una casa nuova, sporca e imbrattata dappertutto, dove si gelava; cazzo, era una meraviglia; gli bruciava dentro andando giù; se lo sentiva scendere. E il sapore che gli lasciava in bocca: magnifico, magnifico. Usava sempre due bustine, strizzandole fino all’ultima goccia. La tazza era grande abbastanza da riscaldarlo, e non solo le mani. Era come sedersi davanti al camino. Dopo un paio di grossi sorsi, se lo beveva piano e si guardava intorno osservando il suo lavoro.
Poesia. Pura. Nel tè ci sono altre vite, dice Banville. C’è il calore della speranza e del lavoro, dice Doyle. Come? Nel caffè? Al massimo c’è un cucchiaino di zucchero…
Link O’Teca
- Owen’s: Irish tea history
- Cuppa Tea, Anyone? Ireland’s Other “Black Stuff”
- Irish Tea Traditions
Che bello trovare qui coniugate tutte le mie passioni maggiori! Quel passo di The Van, poi, è da sempre tra i miei preferiti.. :)
Ciao Camilla! :-)
In attesa di… leggerti, grazie e buona lettura! ;-)