Leggende irlandesi: Deirdre Del Lago

Un altro racconto ispirato dalla mitologia celtica e da uno dei personaggi, Deirdre.

C’era una volta la figlia di un potente re regionale, una ragazza splendida che chiameremo Deirdre. Deirdre viveva col padre in un castello su una collina, che fino a qualche secolo prima era stata un luogo abitato dai Tuatha De Danann, ma che ormai, dopo che San Patrizio aveva diffuso il Cristianesimo nell’isola, aveva perso gran parte del suo potere.

La madre di Deirdre era morta quando lei era piccola e il padre, da cristiano più che pio, non si era mai risposato. Così, la nostra Deirdre svolgeva a tutti gli effetti i compiti della castellana.

Una notte, però, a causa di una congiunzione astrale, l’antico principe del tumulo degli Elfi (perché questo era in realtà la collina) il quale viveva, ormai inconsapevole del suo antico splendore, ridotto a folletto scroccone nelle cantine del castello, tornò a sfolgorare della sua gloria di magica regalità. Quando uscì dalla cantina per salutare la luna, di cui poteva onorarsi di essere un lontano parente, Deirdre, che stava suonando l’arpa sulla torre del castello, lo vide, e se ne innamorò immediatamente.

Anche l’Elfo si accorse di Deirdre, colpito per la sua maestria nel suonare ancor prima di accorgersi della sua bellezza. Il mondo sembrò fermarsi attorno ai due: Deirdre componeva fortificando così il suo amore per il principe, che cantava il suo per la ragazza. Ma anche se tutto sembrava immobile, non era comunque possibile ingannare lo scorrere del Tempo e, proprio quando ormai la canzone del loro amore era ormai compiuta nella musica e nelle parole, il sole fece la sua comparsa, facendo ritornare il principe elfico alla sua condizione di folletto brutto e ignobile.

L’amore tra i due era però così forte che, nonostante il ritorno a tale infelice condizione, questa volta il folletto non dimenticò il suo passato, e tanto meno l’amore sbocciato quella notte. Una furia impotente lo indusse, sotto gli occhi della sua giovane amata, a gettarsi nel pozzo del castello per trovare la morte.

Deirdre, sconvolta, si lanciò verso il pozzo per cercare di salvare il suo orrendo amato, ma non ci riuscì. Le restavano solo le lacrime da versare. E le lacrime si perdevano nel pozzo e pianse talmente tanto che il pozzo, per le sue lacrime, cominciò a traboccare.

Gli abitanti del castello non videro altro che una pioggia tremenda di giorni e giorni, perché non potevano più vedere Deirdre, prigioniera della magia degli Elfi che si era impadronita di lei a causa del suo amore. La pioggia diventò una tempesta interminabile, sotto la quale tutti fuggirono in cerca di rifugio, mentre il castello veniva squarciato dai fulmini.

Quando, molto tempo dopo, tornò il sereno, fu solo perché Deirdre, dopo aver pianto tutte le sue lacrime, si era dispersa come cenere nel lago nato dalle sue lacrime, trasformando la collina su cui sorgeva il castello in un’isola.

Ancora oggi, recandosi di notte sull’isolotto in mezzo al lago, tra le rovine del castello, si può sentire risuonare nel vento la canzone dei due infelici amanti.

Io ho visto quel posto…

 

About maxorover

Ebbene sì. Max O'Rover parla anche Italiano. E in Italiano scrive. Un Irlandese con la geografia contro, ecco chi è Max O'Rover. Il falso vero nome (quindi vero o falso?) di Max O'Rover è, ovviamente, in Irlandese: Mach uí Rómhar. "Rómhar" è il ventre, ma anche il ventre della terra, quello in cui crescono i semi, in cui nascono gli alberi. Mica male per essere uno che non esiste, avere un cognome così evocativo. Prima o poi la scriverò, la vera falsa storia degli uí Rómhar. La storia del perché ci hanno cacciato via. Una storia fatta di boschi sacri che non abbiamo difeso, di maledizioni scagliate contro di noi da Boann. Un pugno di druidi falliti costretti a scendere a sud. Fino a che la maledizione sarà spezzata. Fino a quando potremo tornare. Quando sono in pausa pranzo, ogni giorno, mangio una mela. Non getto mai i semi della mela nella spazzatura. Li getto nel prato. Perché sotto sotto ci credo, alla maledizione. Mi ricordo la maledizione. Ma non ricordo quanti alberi devo far crescere: dieci? Mille? Un milione? Intanto continuo a gettare i semi nel prato, e ad aspettare il ritorno a casa.

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