La seconda parte dell’articolo di Róisín Aiteann Gallda degli Hidden Note sull’esperienza toscana delle trad sessions irlandesi. Leggi la prima parte QUI.
Ma perché le trad sessions, perché la musica tradizionale irlandese?
Chiaramente ognuno ha le sue ragioni e i suoi motivi. Si entra in una dimensione filosofica, personale. Io ancora non ho capito il perché questo modo di fare musica sia diventata (probabilmente la migliore) parte di me: sinceramente, forse alcuni tasselli li ho trovati, ma alla fine è un po’ come chiedersi perché ci si innamora di una persona. Alcuni aspetti saranno forse razionalizzabili ed esplicabili, una buona parte è chimica e per quella non ci sono poi troppe risposte e in ogni caso, probabilmente non sono nemmeno troppo interessanti. Per qualcuno è stato tornare a casa; per qualcuno scoprire di avercela, una casa, aver trovato il proprio posto nel mondo.
Un elemento in comune per tutti noi è sicuramente il fatto che in Irlanda succede che puoi diventare amico/a del tuo idolo personale senza grossi problemi.
I nomi che potrebbero essere paragonabili a una rockstar qualunque, che nel mondo “normale” è irraggiungibile, in questo sono persone con cui puoi facilmente interagire (nella maggioranza dei casi e tolte le dovute eccezioni, certo). Per cui che tu novello oriundo normodotato ti ritrovi gomito a gomito con il “Mostro Sacro” e abbia anche la possibilità di suonarci assieme non è un evento raro ed eccezionale: quando l’ho toccato con mano è stato come scoprire che i sogni sono fatti di materia tangibile. Credo che questo cambi radicalmente il modo con cui siamo abituati a vedere il mondo. Non è una cosa da poco, pensateci bene.
Avvicinarsi alla trad richiede dedizione, come e più dello studiare qualunque altra cosa. Oltretutto hai un gap culturale e geografico (otre che temporale, dato che nella maggior parte dei casi i bambini hanno il whistle in bocca assieme alla poppata…). Richiede applicazione, passione, rispetto, tempo.
Ma a differenza di come spesso vanno le cose, in questa dimensione hai la possibilità di trovare il tuo posto, di toglierti le tue soddisfazioni, anche se non sei autoctono.
Trad sessions? “Social” molto prima di Facebook…
Entrare in questo mondo ti inserisce in una dimensione di socialità che poche altre realtà hanno. E nella maggior parte dei casi una socialità non competitiva: anche questa non è cosa da poco! Questo mondo è davvero rotondo (la maggior parte di esso, sempre fatte salve le dovute eccezioni); la gerarchia è un concetto che si esplica in maniera differente rispetto al resto del mondo, perché la gerarchia qui è fatta di buon senso. Quello che prevale è la voglia di stare insieme, la curiosità dell’altro, l’emozione della condivisione, il gusto del chiacchierare: che la musica sia un linguaggio universale è un dato di fatto quasi banale, eppure la session è davvero una conversazione, come dice il mio amico Paul. Ha le sue regole certo, ma di base è ancora e di nuovo il buon senso che le detta. Uno Stream of consciousness collettivo, umorale, imprevedibile, sempre differente, un mutuo scambio che annulla spazio e tempo, barriere di età, censo, lingua, status sociale.
Vi pare poco? Certo, poi non dico sia sempre, ovunque e comunque così, ma riesce ad esserlo una percentuale bulgara di volte. Dall’esterno vi sembrerà che i musicisti siano come drogati? Avete ragione. La musica è una malattia, ammettiamolo, una dipendenza, difficile da spiegare a chi non ne soffre… Con gli altri dei nostri, invece, ci riconosciamo quasi a pelle. Non so se qualcuno ha mai teorizzato il Mal d’Irlanda, al pari del Mal d’Africa o della saudade, ma esiste, ed è documentato.
Ma che cos’è tecnicamente una trad session? In Irlanda come in Italia, i musicisti si ritrovano al pub per suonare. Questo tipo di musica, come tutte le musiche popolari, è (quasi) sempre di autore sconosciuto (f**k off SIAE!), viene tramandata oralmente, imparata a memoria dai musicisti, passata dall’uno all’altro, così che ognuno costruisce il proprio repertorio di jigs, reels, hornpipes etc etc. Questa musica nasce principalmente per le danze, molto spesso determinate tunes (melodie) sono più popolari e conosciute in determinate aree invece che in altre, e vengono suonate in maniera diversa da regione a regione: cambiano nome, dello stesso pezzo esistono magari differenti versioni… Pensavate che la musica tradizionale è una roba per vecchi, statica e incartapecorita? Niente di più lontano da questa realtà!
Una trad session non è un concerto, un’esibizione; non c’è una scaletta predeterminata; una session è una conversazione e non si sa in anticipo di cosa si parlerà. Ma se non c’è un argomento predefinito, c’è invece un linguaggio da conoscere. Le tunes, le melodie, sono parole. Ognuno porta quello che sa e quello che è; una buona dose di buon senso e onestà intellettuale, apertura mentale e consapevolezza di sé, oltre alla voglia di stare assieme, sono elementi quasi imprescindibili: è un gioco di squadra e l’obiettivo è, o almeno dovrebbe essere – lo stesso per tutti: se gli altri si divertono, quasi sicuramente mi divertirò anch’io.
Certo, come con una lingua, più parole conosco e maggiore sarà la mia capacità di esprimermi e interagire con gli altri. Come in una conversazione, qualcuno inizia (se le tunes sono parole, un set è una frase: solitamente due o tre tunes compongono un set – una tune a sua volta è di norma composta da una parte A e una parte B, ma a volte anche C, D, E… per convenzione ripetuti e suonati per due-tre volte consecutive, per capirsi: AA-BB-AA-BB-AA-BB e così via) e gli altri seguono; se ci si conosce, ci sono possibilità che si sappia quale sarà la melodia che attaccherà dopo. Se si conosce la tune, si suona, altrimenti si aspetta. Si prende spazio per ascoltare gli altri. Perché questa musica è fatta di abbellimenti non scritti, non previsti, non fissati, che sono a disposizione dell’esecutore, è sua cura sceglierli e dosarli, a privilegio degli altri che possono rubarli, copiarli, farne tesoro per la prossima volta. In questo modo si imparano tunes che non si conoscono , anche solo ascoltando: un’osmosi sottile in un processo che, proprio perché circolare, non prevede un leader, un “capo-session”, e ogni volta rimette in discussione ciò che si è e ciò che si pensava. Se posta in questo spirito, la nudità con cui ognuno si offre all’altro diventa ricchezza.
La session non nasce come esibizione di sé; come in ogni conversazione, laddove qualcuno sopravanza l’altro, il dialogo muore e lascia spazio al monologo, al comizio. Fine dello scambio. Non nasce nemmeno come esibizione per gli altri: è un primordiale amore per sé stessi e per chi condivide la stessa passione che porta i musicisti a sedersi assieme. Molto poco romanticamente, stiamo suonando per noi stessi, principalmente, e se chi sta intorno non è interessato, il microcosmo continua comunque la sua conversazione privata. Ma la session non è impermeabile rispetto all’esterno, e se il pubblico interagisce con i musicisti, ascoltando, magari apprezzando, quell’osmosi si espande all’esterno del “cerchio”.
La session continua a essere il miglior modo per imparare a suonare questo tipo di musica, qui come in Irlanda; si impara a orecchio, non si usano e non si leggono spartiti, se non per uso personale, in fase di studio a casa. La tecnica del proprio strumento si “ruba” anche con gli occhi al vicino più esperto. Chiaramente non lo si fa improvvisando a casaccio e disturbando gli altri: si studia a casa, perché, ricordiamoci, l’obiettivo comune è essere al servizio della musica.
Posso partecipare a una session liberamente? La risposta è: ti lanceresti (da sobrio…) in mezzo a un discorso tra persone che non conosci? Probabilmente no, ma se ti introduci, è probabile che tu venga invitato a partecipare. In Irlanda, a causa del numero ormai sempre maggiore di persone – soprattutto stranieri – che vuole “sessionare”, non sempre questo avviene. E non per cattiveria: l’attenzione sempre maggiore per questo tipo di musica ha portato molti locali a scegliere di avere una session come attrattiva per turisti, per cui molto spesso i musicisti sono di fatto pagati e reclutati per suonare, e dovendo garantire la riuscita della session al locale magari possono non essere disposti ad accettare esterni.
Beh, se siete arrivati fino qui a leggere, è possibile che non vogliate mai più sentir parlare di session in vita vostra, oppure non vedete l’ora della prossima…
In ogni caso, non chiedeteci i Modena City Ramblers, il Titanic, Braveheart o l’Ultimo dei Mohicani perché no, non ve le suoneremo.
Il giorno prima avevo pensato “guardatemi”. Non ero stato corretto e non aveva funzionato, e avrei dovuto prevederlo, se solo avessi riflettuto sulla lezione imparata a Ballina, quando Elsie mi aveva ostentato al Golf Club. Adesso sì che funzionava, perché stavo uscendo da un ristorante in tutta umiltà, senza tante arie, affettazioni o istrionismi. Gli avventori del ristorante lo avvertirono, e mi offrirono spontaneamente il loro apprezzamento in nome di un rispetto insolito e caparbio.
Tony Hawks, Mr. Fridge – L’Irlanda In Autostop Con Un Frigo
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