-30
Da stamani conosco un’altra parola in Irlandese. O meglio, da stamani conosco il significato di una parola che conoscevo già: an Crugán, che poi è il nome del nostro B&B. Significa “rough patch of ground”, mi dice l’Harbour Master di Kilronan, e mi piace tradurlo Il Campaccio. Che è diverso dal campo per le patate. Che è diverso dal campo delle alghe, che è diverso dal campo di roccia. Il territorio acquista significati perché l’uomo lo definisce rispetto alle sue esigenze, e nomina i luoghi di conseguenza (questo campo di patate, questo campo di alghe, questo campo di roccia). Nelle lingue moderne i significati si semplificano (così come le strutture stesse delle lingue) e i luoghi (ma non solo quelli) perdono i nomi.
Così si arriva alla frase di Butch/Willis citata dal nostro amico scrittore o alla parodia della lingua sarda proposta ormai un bel po’ di tempo fa da Aldo, Giovanni e Giacomo, con concetti così specifici da avere parole diverse per esprimere la stessa cosa se accade di mattina o di sera, per esempio.
Del resto, come per il turista la costa occidentale delle Aran non è altro che tale, mentre per un Aranita quello stesso oggetto di pensiero acquisisce una ricchezza di nomi (quindi di significanti, e quindi di significati) inimmaginabile per il turista, così per il pastore, e prendiamolo per l’appunto sardo, che ci vive e ci lavora (non cito il pastore sardo a caso…) ogni campo in cui pascolano le sue pecore avrà una peculiarità e quindi un nome, mentre, mettiamo per esempio, per Berlusconi che se la compra in toto (salvo poi rimanere gabbato dal pastore con l’usucapione…) quella stessa terra è terra, e basta, e non ha nome se non dopo essere diventata un affare (Costa Azzurrina, Smeraldina o quel che è).
Quindi è la terra, il luogo, il territorio che hanno valore e quella stessa umanità che ha dato il nome, e il valore, poi deruba il territorio, e quindi anche se stessa, in nome della semplificazione e magari del profitto.
Come aveva ragione quindi Nietszche, quando diceva di tornare alla terra, e sarebbe stata una bella storia da raccontare se invece di finire sifilitico (o quel che fu) a Torino avesse preso la via dell’Ovest e si fosse trovato con Synge sulle Isole Aran a discutere se, in quanto Dio è morto, non spetti al mare che ribolle là in fondo alla scogliera l’appellativo di eterno…
One comment
Pingback: Isole Aran: paradiso di pietra