Leggende irlandesi: agenzia Banshee

Un racconto dedicato alla figura mitologica irlandese che più mi affascina: la banshee.

bansheePioveva.

Niente di cui stupirsi se è vero che, in Irlanda, qualche volta piove per quaranta giorni al mese. Feci la cosa più logica da fare quando sei in Irlanda e piove: entrai nel primo pub. Era pomeriggio presto e quindi non c’era molta gente. Il bancone era enorme, con tre gruppi da quattro spine. Accanto al registratore di cassa, una mazza da hurling. Accanto alla mazza da hurling, una ragazza. Dai capelli rossi, naturalmente. O almeno rossa era l’ultima colorazione fattibelladasolaincasa che aveva utilizzato. Le sopracciglia dicevano altro.

Sul lato opposto del locale c’erano una coppia di turisti e un Irlandese. La coppia di turisti aveva ordinato della Guinness. L’Irlandese aveva appena finito la sua Guinness. Mi sedetti a un tavolo. L’Irlandese mi parlò. Era vecchio, con una barba lunga e dei baffoni ottocenteschi. Sotto a tutto quel pelo si intravedevano molte rughe, mentre gli occhi, vispissimi e chiari, erano giovani o forse senza tempo.

Come tante altre cose in Irlanda.

Mi chiese se ero italiano. No, anzi, mi disse che si vedeva che ero italiano. Mi chiese se ero uno di quelli che veniva in Irlanda per via delle Fate, dei Folletti e compagnia. Mentendo, gli risposi di no, mentendo gli dissi che era la prima volta che venivo in Irlanda. Gli dissi che c’ero venuto perché ero stufo di stare al sole: era una battuta.

Lui mi rispose serissimo che era una sanissima motivazione. Ci offrimmo una Guinness a vicenda. Fuori pioveva a dirotto ed entrambi avevamo voglia di chiacchierare. I turisti non avevano ancora finito le loro pinte.

<< Tu ci credi nel Piccolo Popolo? >> , mi chiese.

Non sapevo che cosa rispondere. In Irlanda c’ero proprio per sentir raccontare le vecchie storie, le vecchie storie che era sempre più difficile farsi raccontare, quelle che i giovani non volevano più sentirsi ripetere e i vecchi non potevano più raccontare perché erano… Morti.

Gli dissi che mi sarebbe piaciuto crederci. Ma il Piccolo Popolo, anche se fosse esistito un tempo, nel ventunesimo secolo non poteva proprio esserci arrivato: se solo fosse stato ancora in giro qualcuno dei suoi esponenti, un turista lo avrebbe fotografato di sicuro…

L’Irlandese sorrise: << Io ci credo, invece. Ci credo perché sono veri. Hanno dovuto fare un bel po’ di salti mortali per nascondersi. No, non è la parola giusta: è nascondendosi che hanno rischiato di estinguersi. Non ci sono posti abbastanza nascosti in questo mondo di telefotovideosatelliticellulari. Hanno dovuto dissimularsi, sembrare umani. Così sono riusciti a sopravvivere. Del resto, non sai che almeno un terzo dei buttafuori di Dublino è costituito da troll? >>

Avevo trovato un seanchaì. Forse avevo trovato un seanchaì. O forse avevo trovato un vecchio che voleva solo bere in compagnia. Non volevo fare la figura dell’idiota, del turista sprovveduto. Ma se era un raccontastorie, volevo proprio sentirne una! Abboccai dicendogli: << Magari un troll può anche organizzarsi… Ma una Banshee? Le Banshee non possono esistere al giorno d’oggi! >> .

L’Irlandese sorrise di nuovo: << Ma certo che esistono ancora. Dissimulate, mimetizzate. Prendi Tara, la Banshee che conosco io: lei è una Banshee e lavora da Banshee anche adesso! Ti interessa sapere che combina? >>
Avevo trovato un seanchaì!

<< Li hai visti i palazzoni nuovi verso il porto? L’ufficio di Tara è là. Il denaro non è un problema, quando sai come arrivare in fondo all’arcobaleno per far fuori l’oro della pentola. Il potere è un problema, quando lo perdi. Dopo la Grande Carestia Tara se l’era vista brutta: aveva pianto così tanto che ormai non c’erano più persone da piangere. L’avevano sentita così spesso che la gente non riusciva più a capire il ruolo della Banshee: avvertire i vivi di quel che sarebbe accaduto, per prepararli. Ma con così tante morti, tutte uguali e senza senso, avevano cominciato a odiarla. Come se fosse stata colpa sua! Per decenni è rimasta a guardare a gridare ad essere maledetta, ridotta all’ombra di se stessa. Quando ci fu la guerra contro gli Inglesi si sentì un po’ meglio, ma la guerra civile la sconvolse. Non capiva perché e come ci si potesse uccidere tra fratelli se non per fame o per amore. Comunque alla fine ce l’aveva fatta a sopravvivere. Era nel ventesimo secolo. Aveva cantato per re e straccioni, se non era svanita quando mezza Irlanda era finita oltreoceano, non poteva avere paura: non poteva esistere niente di peggio! Ma si sbagliava. Le cose hanno cominciato a mettersi veramente male con la Tigre Celtica. Computer e computer. Gente in giro che non aveva una goccia di sangue celtico nelle vene e non aveva bisogno di qualcuno che la avvertisse se un parente stava morendo. E poi, con il cellulare, lei arrivava sempre seconda! Già, il cellulare… Tara comprò una compagnia telefonica e… Un satellite. Indovina chi ha i diritti per le suonerie polifoniche degli U2? E fin qui si parla di soldi. Ma Tara, a clienti selezionati, offre un servizio speciale, che ti permette, diciamo così, di sapere se hai un parente con qualche problema definitivo. Una roba tipo microchip che trasmette il battito cardiaco al satellite e poi, se c’è qualche problema, a te, al telefonino. Per fartela breve, Tara non aveva così tanto potere dai tempi di Cu Chulainn! >>

Avevo trovato un seanchaì! E il vecchio aveva saputo pure tenersi al passo coi tempi e rinverdire il repertorio! Andai a prendere altre due pinte. Mi ero appena voltato che sentii un ronzio e poi un urlo agghiacciante che, ci avrei giurato, usciva dal cellulare dell’Irlandese.

L’Irlandese disse:
<< Vedi? Ero sicuro che il buon vecchio Pat non sarebbe arrivato al prossimo San Patrizio! Tara mi ha appena avvertito… >> .

Immagine: Banshee by Michelle Monique.

About maxorover

Ebbene sì. Max O'Rover parla anche Italiano. E in Italiano scrive. Un Irlandese con la geografia contro, ecco chi è Max O'Rover. Il falso vero nome (quindi vero o falso?) di Max O'Rover è, ovviamente, in Irlandese: Mach uí Rómhar. "Rómhar" è il ventre, ma anche il ventre della terra, quello in cui crescono i semi, in cui nascono gli alberi. Mica male per essere uno che non esiste, avere un cognome così evocativo. Prima o poi la scriverò, la vera falsa storia degli uí Rómhar. La storia del perché ci hanno cacciato via. Una storia fatta di boschi sacri che non abbiamo difeso, di maledizioni scagliate contro di noi da Boann. Un pugno di druidi falliti costretti a scendere a sud. Fino a che la maledizione sarà spezzata. Fino a quando potremo tornare. Quando sono in pausa pranzo, ogni giorno, mangio una mela. Non getto mai i semi della mela nella spazzatura. Li getto nel prato. Perché sotto sotto ci credo, alla maledizione. Mi ricordo la maledizione. Ma non ricordo quanti alberi devo far crescere: dieci? Mille? Un milione? Intanto continuo a gettare i semi nel prato, e ad aspettare il ritorno a casa.

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