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Ho quasi finito di rileggere Pilgrimage, il primo dei due volumi di Robinson che insieme costituiscono Stones Of Aran. Quindi ho cominciato a correggere gli errori nella prima stesura della traduzione della mappa. Sono tre settimane che brancolo per l’Isola (ma forse dovrei dire dieci anni), accompagnato da un libro in una lingua che comunque non capisco al 100% che parla di nomi e luoghi e persone che parla(va)no una lingua di cui capisco l’1%. Sto riempiendo l’isola di bandierine, bandierine del mio colore, che si sovrappongono alle bandierine di chi ha percorso l’Isola in lungo e in largo per raccogliere altre bandierine ancora precedenti, rese ormai quasi invisibili dal passare del tempo. Quest’isola che quasi non ha alberi è una foresta di nomi. Quest’isola che ha poco più di ottocento abitanti ricorda tanti di quei nomi da sembrare una metropoli. Uomini e donne, animali e santi, che non se ne sono mai andati, che non se ne andranno mai almeno finché ci sarà qualcuno a ricordare i loro nomi, e i loro nomi saranno l’ultima cosa dimenticata. Tra un mese arriverò a Cill Rónáin e saranno lì ad aspettarmi. Deve essere facile, in inverno, nell’era del famoso “buioalletrecieloqui^”, immaginarsi addosso, attraverso la nebbia, gli occhi della bean bháite e quelli dei Franncach. E quelli pigri e ipnotici della péist. Tanti nomi, santi, animali, donne e uomini, e neanche una banshee…
Arriveremo in mezzo ai turisti, ma se saranno là a guardare la bean bháite o i Franncach troveranno qualcuno che li sta fissando negli occhi.
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